Didattica Tecnologia

Penso alla mia breve carriera da docente, a questi lunghi, lunghissimi tre anni di insegnamento e a quello che è successo la prima volta che sono entrato in aula. Ero pronto, pronto il discorso, pronta la lezione, e valutata ogni possibile reazione a quello che sarebbe potuto succedere, ma ovviamente non ero pronto a quello che realmente successe.

1Mi guardavano, mi osservavano, mi scrutavano profondamente, con attenzione, con sospetto, con curiosità malcelata e con occhi di fuoco pronti al giudizio, alla più piccola impercettibile incertezza umana e professionale, pronti tutti a farti a pezzi. Non, non parlo di predatori della savana, ma soltanto dei miei studenti.
Sono passati tre anni e da quel giorno, ogni volta che entro in classe, ogni volta che sto per iniziare una lezione, ogni volta che sto per parlare, mi prende il blocco allo stomaco e rivedo quegli occhi. Ma non è più uno sguardo di timore, né tantomeno indagatore, ma soltanto lo sguardo di chi si aspetta qualcosa da te,che prova ad immaginare quello che stai per insegnargli, prova a capire, senza ovviamente rendersene conto, se quello che vuoi trasferirgli gli servirà o no, ed il peso delle responsabilità di fa grande.

Beh a volte mi capita di fare così, di impazzire e di andare controcorrente.

Entro in classe, raccolgo i miei studenti intorno ad uno dei banchi, prendo undici penne e le dispongo così, in fila, una dietro l’altra. E dico – “Ci sono undici penne sul banco. Io ne prendo due e chi mi sfida potrà prenderne 1, 2 o 3 prima che ricominci io. Continueremo finché non restano più oggetti sul tavolo. Il giocatore costretto a raccogliere l’ultimo oggetto perde”.

Inutile dire che per un’ora intera ho sempre vinto.

Negli ultimi cinque minuti di lezione ho sfidato i miei ragazzi a scoprire il trucco che mi consentiva di vincere ogni partita e di farne un algoritmo da implementare sul nostro amatissimo Micro:bit.

È lì che mi piace mettermi in disparte, spostarmi dal centro dell’attenzione e vedere come la classe diventa un laboratorio di menti che friggono e partoriscono idee, che provano le stesse, che si sfidano, che annotano gli errori, che individuano i punti critici dell’algoritmo e che ne elaborano la soluzione, esatta, incredibilmente esatta.

 

bbc micro bit stopwatch 3 101 computing

Non è un segreto ormai che da un po’ uso micro:bit, un microcontrollore nato in Inghilterra per rendere semplice l’introduzione del coding fin dalle scuole elementari (VEDI ARTICOLO Micro:bit giochiamo subito col coding), ma dalla potenza di calcolo sorprendente.

Invece che decantarne le lodi, tuttavia, abbiamo pensato, col mio amico Giovanni Basile, che a differenza mia è un informatico esperto, di provarlo creando un’attività didattica vera e propria.

Abbiamo pensato al codice binario ed alla codifica che mi ha impegnato lo scorso anno nelle classi prime della scuola secondaria di Primo grado Solimena-De Lorenzo, dove insegno tecnologia. In particolare lo scorso anno avevamo trasformato la codifica binaria in una attività di coding unplugged usando il gioco delle carte.

20160922 174357

microbit anteprimaNegli articoli precedenti (CODING: un approccio semiserio al pensiero computazionale prima parte e seconda parte) ho descritto tutto il percorso fatto con il coding e come sia possibile differenziare idee ed approcci ad una materia che ha ricadute comunque a lunga scadenza, una materia che mira, nell’idea generale, alla formazione di un pensiero computazionale che aiuti gli studenti nel problem solving quotidiano, nella capacità di approcciarsi alla realtà secondo un vero e proprio algoritmo sequenziale, con la stessa naturalezza con cui risolve problemi di matematica, con cui fa un tema o analizza un testo con le regole dell’analisi logica.

La verità è che, mentre al solito, oltre alla massiva partecipazione ad iniziative comunque meritorie come la Code Week e The Hour of Code, l’Italia viaggia a rilento restando alla finestra ad osservare, in altri paesi si fa largo la consapevolezza della necessità di introdurre materie come questa in tutti i gradi della scuola per facilitare la formazione del pensiero computazionale, lo dicevamo prima, ma per garantire a tutti i futuri cittadini la possibilità di affrontare lavori che, ad oggi, ancora non esistono (a rifletterci è successo così anche a noi ed abbiamo dovuto formarci per affrontare spesso situazioni impreviste ed imprevedibili durante il nostro corso di studi)

Come passa un pomeriggio qualunque un qualunque professore di scuola media? Beh chiariamo le idee sul fatto che non ha poi tutto il tempo libero che gli si attribuisce e che spesso dedica tempo ai suoi studenti ben oltre le sue canoniche diciotto ore mattutine.

Beh, a dirla tutta, un po’ di tempo libero lo abbiamo, anzi me lo ritaglio, ma altre volte si passa qualche ora persi nella rete alla ricerca di un qualche corso di formazione che ti faccia venire qualche idea da trasferire in classe.

In uno di questi, interessante soprattutto per l’enorme condivisione di idee tra colleghi, si parlava di Smart Object e della possibilità di raccontare in classe ai nostri allievi quello che stavamo vedendo in un video. Di più, ci chiedevamo se i ragazzi fossero capaci di immaginare uno smart object, magari strano, ma che potesse in certo qual modo essere innovativo ed originale.

Sfida accettata e tutti pronti alla discussione e, proprio quando mi aspettavo pispoli genuflessi o saltafanchi a bielle ritorte, uno dei ragazzi ha alzato la mano e mi ha detto – PROFESSORE E SE PROVASSIMO A FAR PARLARE LUIGI?

Come insegnare questa materia, come trasferire ai ragazzi i vantaggi del PENSIERO COMPUTAZIONALE ? Ne abbiamo parlato nel mio articolo precedente, sperando che le idee siano più chiare, ma voglio condividere quello che ho fatto sperando vivamente in un confronto con tutti voi sull'approccio con il coding e su come possa essere utile a rivoluzionare la didattica. 

"E mentre su New York calavano le prime ombre della sera…"

Così cominciava un vecchio fumetto che ha accompagnato la mia infanzia e così comincio io, anche perché a notte inoltrata sono qui al mio pc a terminare un discorso iniziato nell’articolo precedente 

nick carter

Ve la racconto così questa avventura cominciata quest’anno. Ascoltavo una collega parlare continuamente di CODING senza riuscire a capirne il significato. È una collega di lettere, Annamaria Bove e quando, prima di chiederle spiegazioni, ho fatto un po’ di ricerca, mi sono accorto che tutti gli articoli riconducevano a quella che una volta si chiamava PROGRAMMAZIONE ASSISTITA AL CALCOLATORE. Una materia che, almeno credevo, con l’italiano non aveva niente in comune.

Non trovando risposta le ho chiesto, e lei mi ha detto che era quella che una volta si chiamava PROGRAMMAZIONE ASSISTITA AL CALCOLATORE. Lo sbandamento era inevitabile. Sono laureato in ingegneria e ricordo ancora quelle notti insonni passate a compilare complicatissimi codici di programmazione in linguaggi astrusi e dalla sintassi imperscrutabile.

Certo vengo da un durissimo quinquennio al liceo classico e maneggiare lingue morte era pane quotidiano, ma con l’informatica tutto si complicava. Dovevi costringere un computer logicamente stupido ad eseguire inutili operazioni in maniera sequenziale per sommare numeri primi, estrarre parole da un testo o contare gli aggettivi in un altro. Insomma compilavi quantità improponibili di codici per poi magari vederti rispondere SYNTAX ERROR ed andare per notti intere alla ricerca della virgola saltata, della parentesi graffa messa male o dello spazio dimenticato.

syntax

Spesso le lezioni nascono così, per caso.

Parlo molto con i ragazzi ed insieme stravolgiamo lo spazio della classe. La cattedra serve solo per appoggiare le cose che ingombrano e mi siedo in mezzo a loro in attesa di vedere i loro occhi che si accendono. Quello è il momento. È il momento di iniziare a correre e ad incamminarsi per una strada che ancora non è segnata, che saranno i ragazzi stessi a creare, formare e percorrere fino al raggiungimento della meta.

È successo proprio così quel giorno. Si parlava di elettromagnetismo dopo tante lezioni passate ad immergersi nei meccanismi di produzione dell’energia elettrica nei vari tipi di centrali. Serviva una scossa (passatemi la battutaccia) che restituisse allegria ed interesse dopo tempo passati tra argomenti che sembrano noiosi (l’ingegnere chimico che è in me non si rassegnerà mai a considerare noiosi argomenti affascinanti come le centrali elettriche).

Ho mostrato questo video in cui si parlava di CIMATICA, in cui, grazie proprio all’elettromagnetismo, si riesce a dare forma a liquidi e solidi granulari. L’effetto è bellissimo.