Ve la racconto così questa avventura cominciata quest’anno. Ascoltavo una collega parlare continuamente di CODING senza riuscire a capirne il significato. È una collega di lettere, Annamaria Bove e quando, prima di chiederle spiegazioni, ho fatto un po’ di ricerca, mi sono accorto che tutti gli articoli riconducevano a quella che una volta si chiamava PROGRAMMAZIONE ASSISTITA AL CALCOLATORE. Una materia che, almeno credevo, con l’italiano non aveva niente in comune.
Non trovando risposta le ho chiesto, e lei mi ha detto che era quella che una volta si chiamava PROGRAMMAZIONE ASSISTITA AL CALCOLATORE. Lo sbandamento era inevitabile. Sono laureato in ingegneria e ricordo ancora quelle notti insonni passate a compilare complicatissimi codici di programmazione in linguaggi astrusi e dalla sintassi imperscrutabile.
Certo vengo da un durissimo quinquennio al liceo classico e maneggiare lingue morte era pane quotidiano, ma con l’informatica tutto si complicava. Dovevi costringere un computer logicamente stupido ad eseguire inutili operazioni in maniera sequenziale per sommare numeri primi, estrarre parole da un testo o contare gli aggettivi in un altro. Insomma compilavi quantità improponibili di codici per poi magari vederti rispondere SYNTAX ERROR ed andare per notti intere alla ricerca della virgola saltata, della parentesi graffa messa male o dello spazio dimenticato.
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E noi vorremmo insegnare questo a ragazzini di prima media? E ancora, una professoressa di italiano può insegnare una materia così difficile?
Con la stessa tignosa cocciuta curiosità che mi faceva ingerire litri di caffè mentre cercavo di correggere quei fastidiosi SYNTAX ERROR, ho preso ad informarmi fino a scoprire un mondo. L’informatica non può più essere qualcosa che consegna alla leggenda personaggi come Steve Jobs, Bill Gates, Alan Touring, non possiamo e non dobbiamo più considerarla qualcosa per “smanettoni” chiusi in un garage o Nerd che dovrebbero cercarsi una ragazza o magari parlare con le persone più che con le macchine (alzi la mano il primo che non ha mai pensato qualcosa del genere del compagno Nerd).
L’informatica deve diventare una materia comune a tutti e soprattutto semplice e di facile comprensione. Il perché è immediato. Le nuove generazioni sono quelle indicate da eminenti pedagoghi come “NATIVI DIGITALI”. Io per la verità preferisco ampiamente definirli “PRIMITIVI DIGITALI” capaci di usare uno strumento digitale senza capire come è fatto. Va riconosciuto però, in entrambe le definizioni, che le nuove generazioni sono incredibilmente “connesse” alle loro device, ai loro sistemi, date uno strumento elettronico ad un bambino e vedete di cosa è capace.
Cosa voglio dire? Voglio solo sottolineare come questi strumenti e questo approccio divengano una porta aperta verso il mondo dei nostri figli e dei nostri studenti. Quando ero un ragazzo della stessa età dei miei studenti (molti anni fa purtroppo), una ricerca significava ricopiare e miniare a mano quello che mi raccontava l’enciclopedia (la stessa di tutti i miei compagni) e al massimo ascoltare, a seconda dell’argomento, qualche notizia ulteriore raccontatami da mio padre. Nessuna possibilità di verifica, nessun confronto e nessuna differenza con le ricerche dei miei compagni. Ed alla stessa maniera ricordo tempi lunghi, attese, pomeriggi rilassati a non far niente, a leggere un libro a godere del silenzio.
Oggi, invece, i ragazzi sono frenetici, sottoposti ad un lungo bombardamento di informazioni ogni genere che vanno filtrate, selezionate, scelte con cura, osservate. È su questa differenza che occorre basare il nostro lavoro.
Prima regola è parlare il loro linguaggio sfruttando una capacità critica superiore alla loro. Non è una aspra lotta tra fautori del digitale e non, ma può diventarla tra chi mette i ragazzi e le loro esigenze al centro del dialogo educativo e chi non lo fa.
Ecco che alla luce di questo anche il CODING, la programmazione assistita al calcolatore comincia a prendere un significato diverso. Gli Stati Uniti sono stati precursori in questo, aprendo la strada all’informatica insegnata nelle scuole elementari ed in età prescolare. L’idea è rivoluzionaria, trasformiamo quel linguaggio astruso, quella sintassi complicata in qualcosa che i bambini conoscono bene, i mattoncini delle costruzioni. Ecco che nasce SCRATCH nei laboratori dell’MIT di Boston, dal gruppo di ricerca del prof. Mitch Resnick.
Si, mattoncini da costruzioni. Tutte le istruzioni come cicli, condizioni, iterazioni, cicli annidati, funzioni, operatori si trasformano in mattoncini che si uniscono in maniera sequenziale in un simulatore che consente di verificarne di volta in volta il funzionamento. A renderlo ancora più accattivante è l’interfaccia in cui si chiede, in genere, ai bambini di creare giochi, storie, effetti speciali e qualsiasi cosa li diverta.
Ecco, dunque, come cambia il rapporto con l’informatica. Non più qualcosa per NERD, ma conoscenza diffusa ad ogni livello. Le implicazioni, come in ogni rivoluzione, sono tantissime e non tutte volute.
Cominciamo dalla più ovvia.
L’INFORMATICA
La conoscenza diffusa a livello capillare fin dall’età prescolare finisce per agire direttamente sui nostri amatissimi PRIMITIVI DIGITALI. Infatti non sono più oggetto della tecnologia come siamo abituati a vederli. Ricordate quei filmati sull’addestramento delle scimmie in laboratorio? Bottone rosso corrisponde a banana e bottone blu a scossa elettrica? Avete presente? Ecco come vedo i miei studenti. Avvezzi alla tecnologia, ma con bisogni e necessità che si modificano con le funzioni che il dispositivo presenta. Come dire, mangio una bella mela se ho un dispositivo APPLE, mentre trangugio lamponi quando utilizzo una fiammante RASPBERRY. Questo è sbagliato e non accettabile. Se insegniamo l’informatica fin dall’età prescolare, ci ritroveremo con una intera generazione che saprà programmarsi i propri giocattoli, le proprie applicazioni, che scambierà i videogiochi creati nella loro stanza e che saranno SOGGETTI attivi della tecnologia mettendo finalmente a frutto l’essere NATIVI DIGITALI (fatemelo dire, così anche i pedagoghi sono contenti).
Altra implicazione.
IL DIVERTIMENTO
Dovrei parlare di GAMIFICATION ma rabbrividisco solo se la pronuncio quella parola. Ricordate il film Monsters & Co? Alla fine si scopre che l’energia ottenuta dalle urla di terrore dei bambini era di gran lunga inferiore a quella prodotta dalle risate degli stessi. L’uovo di Colombo, i puristi direbbero “lapalissiano”, più o meno come quando mia madre mi chiedeva di scegliere tra il cavolo lesso e la lasagna.
Non vi è dubbio che i nostri ragazzi imparano di più quando si divertono, quando ridono, quando, materie come l’informatica, la fisica, la matematica, e tutte le altre vengono affrontate in maniera divertente.
Dobbiamo metterci un berretto a sonagli e cominciare a fare le capriole in classe? Io lo faccio già, ma non è questo il senso. Se riusciamo ad entusiasmare i ragazzi, a parlare il loro linguaggio, ad usare esempi vicini ai loro hobby, allora il gioco è fatto. Pensate ad un vecchio professore di informatica che ti faceva fare tonnellate di algoritmi per sommare i numeri pari o per contare quante volte in un testo si trovava la lettera “e”. Pensate, poi, ad un moderno professore di CODING che insegna le stesse cose programmando un cacciatore che uccide perfidi goblin che gli hanno rubato l’agognato tesoro (lo vedrete in un prossimo articolo).
Lasciatemi scomodare Seymour Papert, matematico, informatico e pedagogo quando dice “I ragazzi imparano meglio quando sono attivamente coinvolti nel costruire qualcosa che ha un significato per loro, sia esso un poema, un robot, un castello di sabbia o un programma per computer”.
Per la cronaca, quando mia madre mi proponeva la scelta ho sempre scelto la lasagna, ma ho sempre mangiato il cavolo lesso (potere delle mamme).
Infine
IL PENSIERO COMPUTAZIONALE
Quanto mi terrorizza il fatto che sia io ad usare una terminologia tanto di moda, ma il pensiero computazionale rappresenta la quadratura del cerchio. Col pensiero computazionale, con la capacità di razionalizzare un problema di qualsiasi portata esso sia, con la capacità di proporre soluzioni razionali e sequenziali tipica dell’approccio algoritmico dell’informatica, si ingenera una serie di comportamenti di assoluto rilievo.
- Deframmentazione di problemi complessi: i ragazzi imparano che un problema particolarmente complicato può essere ridotto in una serie di problemi più semplici;
- Cooperative learning: i ragazzi imparano a lavorare in gruppo, soprattutto quando è richiesta la soluzione a problemi complessi;
- Rivalutazione dell’errore: questa mi piace davvero. Basta avere paura di sbagliare. L’errore in informatica è di incredibile aiuto, è una strada da non percorrere, un campanello d’allarme, un invito ad aggiustare il tiro. Non ci si scoraggia quando si sbaglia, ma si stringono i denti e si riprova;
- Didattica inclusiva: con l’informatica si riescono a superare barriere di ogni tipo e può essere uno strumento di grandissimo aiuto (quanto ne parleremo nei prossimi articoli).
- Problem solving: e se non è una didattica mirata al problem solving l’informatica, allora ditemi voi di cosa stiamo parlando.
- Didattica multidisciplinare: qui mi soffermo giusto un attimo. Occorre urlare a gran voce che l’informatica non è già un mero strumento ad uso e consumo di chi insegna tecnologia. La mia materia deve diventare volano e strumento nelle mani degli altri colleghi e delle altre discipline (abusate pure di me, ma con moderazione). Non è forse CODING e PENSIERO COMPUTAZIONALE l’analisi logica e quella grammaticale? E che dire dell’indice di un libro, non è forse l’algoritmo del libro stesso? Ed un problema di fisica non si risolve con una serie di condizioni preliminari? E quando si disegna non si applicano regole rigide e sequenziali come quelle di uno sketch di informatica? Potrei continuare ma vi risparmio le altre discipline. Ed allora occorre inevitabilmente ricostituire una COMUNITA’ di insegnanti che lavorino insieme non solo sulle carte. Insegnanti pronti a collaborare mettendo a frutto le proprie idee educative, ma parlando il linguaggio proprio dei ragazzi.
Siamo alla fine della chiacchierata. Potrei farmi una domanda, ma ho paura di non sapermi rispondere. Come si insegna questa materia ? Non ne ho la più pallida idea, ma posso raccontarvi il percorso che ho fatto io sperando che qualcuno di voi mi renda un feedback (oddio parlo come un informatico) che mi chiarisca se sono sulla strada giusta o no, ma ve lo racconto nella seconda parte dell’articolo.
Luca Scalzullo
CODING: un approccio semiserio al pensiero computazionale (seconda parte)
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