Penso alla mia breve carriera da docente, a questi lunghi, lunghissimi tre anni di insegnamento e a quello che è successo la prima volta che sono entrato in aula. Ero pronto, pronto il discorso, pronta la lezione, e valutata ogni possibile reazione a quello che sarebbe potuto succedere, ma ovviamente non ero pronto a quello che realmente successe.
Mi guardavano, mi osservavano, mi scrutavano profondamente, con attenzione, con sospetto, con curiosità malcelata e con occhi di fuoco pronti al giudizio, alla più piccola impercettibile incertezza umana e professionale, pronti tutti a farti a pezzi. Non, non parlo di predatori della savana, ma soltanto dei miei studenti.
Sono passati tre anni e da quel giorno, ogni volta che entro in classe, ogni volta che sto per iniziare una lezione, ogni volta che sto per parlare, mi prende il blocco allo stomaco e rivedo quegli occhi. Ma non è più uno sguardo di timore, né tantomeno indagatore, ma soltanto lo sguardo di chi si aspetta qualcosa da te,che prova ad immaginare quello che stai per insegnargli, prova a capire, senza ovviamente rendersene conto, se quello che vuoi trasferirgli gli servirà o no, ed il peso delle responsabilità di fa grande.
Vi siete mai chiesti che futuro ci sarà per i vostri studenti?
Vi siete mai chiesti che lavoro faranno?
E quando sbattete i piedi a terra infuriati per una loro interrogazione andata male, o vi girate indemoniati perché un ragazzino ipercinetico corre senza sosta rischiando di farsi male, siete solo l’ennesimo falso profeta che farà parte della sua vita, o state effettivamente insegnando qualcosa di definitivo per la loro futura crescita?
(In effetti quando spiego cosa è una zangola, una turbina a vapore o la geometrica costruzione di un dodecagono regolare, mi chiedo quante volete nella loro vita i miei ragazzi utilizzeranno queste nozioni fondamentali alla sopravvivenza...)
Beh, io ci ho provato ad immaginare il futuro e lo ho fatto guardando il passato, tutto il nostro passato. Se mi concedete un pizzico di pazienza ve lo racconto.
Mi sembra di vedere una vera e propria vertiginosa rivoluzione in atto. Una rivoluzione sociale, tecnologica talmente vertiginosa e rapida da farci apparire il mondo fermo ed immobile. Pensate ad una macchina, alla prima macchina, e pensate alle meraviglie che oggi la tecnologia ci ha regalato. Ed un aereo? Ve lo ricordate l’aereo dei fratelli Wright? Lo avete mai confrontato con uno stealth, capace di volare da solo rendendosi invisibile, totalmente invisibile ai radar?
Continuo a farmi domande sperando che voi possiate darmi la risposta. Ma il dott. Benz immaginava il futuro dell’industria automobilistica? E i beneamati fratelli Wright potevano immaginare degli infiniti guai dell’Alitalia? Credo di no, ma di rimando sapevano di essere sulla cresta di un’onda inarrestabile che portava al futuro. E quanto veloce è stato questo futuro? Beh scopriamolo tra poco.
Un altro esempio, vale la pena farlo. Cosa ne pensate di Guglielmo Marconi? Einstein ebbe a dire, ripensando agli studi sul nucleare ed al progetto Manhattan che portò alla creazione della bomba atomica che se avesse immaginato a cosa sarebbero serviti i suoi studi, probabilmente avrebbe iniziato a fare l’idraulico. Ecco, cosa avrebbe fatto Guglielmo Marconi se avesse saputo che il suo sgraziato telegrafo sarebbe diventato un modernissimo smartphone? Il volto triste della fotografia la dice davvero lunga.
Sono andato avanti e davanti a tanto sviluppo rapido quanto inconsapevole, ho allargato il raggio di analisi agli ultimi 3000 anni di storia umana provando a racchiuderla in una sola ora. Sì una sola piccola ora, cinquanta anni di storia in ogni minuto di questa ora frenetica.
A ragionare su tutti gli eventi storici ci si rende conto che da quando nel tardo diciottesimo secolo James Watt mise a punto il primo motore a vapore, nel già attivo terremoto della Rivoluzione Industriale, ci fu un vero e proprio sussulto. Il motore a vapore aumentò a dismisura l’energia a disposizione dell’uomo che col progresso ottenne in breve mezzi più rapidi su strada e via mare, lo sviluppo delle ferrovie facendo impennare esponenzialmente la curva del cambiamento. Se mettessimo in questo ipotetico orologio alcuni di questi eventi scopriremmo che:
• 4 min fa: motore a combustione interna (François Isaac de Rivaz, 1807);
• 2,5 min fa: automobile a motore (Karl Benz, 1885);
• 2 min fa: primo volo di un velivolo a motore (F.lli Wright, 1903);
• 1,9 min fa: propulsione a razzo (Robert Goddard, 1915);
• 1,5 min fa: motore a reazione (Frank Whittle, 1930);
• 1 min fa: Primo razzo in orbita intorno alla terra (sputnik, 1957);
• 50 sec fa: primo atterraggio dell’uomo sulla luna (Apollo 11, 1969);
• 30 sec fa: primo volo dello Space Shuttle (1981);
• 2 sec fa: auto ibrida terra aria (2009);
• 1 sec fa: velivolo spaziale senza equipaggio (2010).
E se parlassimo di comunicazioni? Con lo stesso giochino potremmo dire che:
• 11 min fa: stampa a caratteri mobili (1440.1450);
• 3,4 min fa: codice Morse (1838-1844);
• 2,7 min fa: telefono (1875);
• 2,5 min fa: radio (1885);
• 1,6 min fa: televisione in bianco e nero (1929);
• 54 sec fa: fax (1966);
• 41 sec fa: personal computer (1977);
• 38 sec fa: telefono cellulare analogico (1979);
• 25 sec fa: World Wide Web (1990);
• 22 sec fa: SMS (1993);
• 13 sec fa: banda larga (2000);
• 1 sec fa: televisione in 3D (2010)1.
Ecco. Il gioco mostrato diventa serio se pensiamo a quanto rapido ed esponenziale sia stato il cambiamento a cui abbiamo assistito negli ultimi minuti e a quanto rapido potrebbe esserlo in futuro. Siamo in grado di prevedere questo futuro? Siamo in grado di individuarne il percorso ed il punto di arrivo? E cosa aspetta ai nostri figli e ai nostri alunni?
Un pericolo esiste ed è stato splendidamente individuato dal più grande sociologo dei nostri giorni, morto da poche settimane, Zygmut Baumann che ci ha descritto la nostra società come una società liquida, in cui “l'incertezza che attanaglia la società moderna deriva dalla trasformazione dei suoi protagonisti da produttori a consumatori. Esiste un'esclusione sociale che non si basa più sul non poter comprare l'essenziale, ma sul non poter comprare per sentirsi parte della modernità. Il povero, nella vita liquida, cerca di standardizzarsi agli schemi comuni, ma si sente frustrato se non riesce a sentirsi accettato nel ruolo di consumatore. In tal modo, in una società che vive per il consumo, tutto si trasforma in merce, incluso l'essere umano.”
A leggerle queste parole mi sembra di vedere i nostri studenti, nella loro noia, nella loro ipercineticità, nella loro incapacità di reggere ai troppi rapidi stimoli. Diremmo tutti che non può che essere la SCUOLA il luogo dove deve essere affrontata questa sfida. Ma in tutto questo tempo, LA SCUOLA come è cambiata?
Risposta immediata: - non è cambiata affatto se non nel colore della fotografia!
Continua ad essere la stessa scuola di quarant’anni fa, la stessa scuola che ha cresciuto anche noi, la stessa scuola che, tuttavia, risponde oggi ad esigenze vecchie, superate e che non possono più essere considerate valide. Questa scuola, mi perdonino gli storici, è la scuola del dopoguerra, di una Italia rasa al suolo, in ginocchio, da ricostruire dal profondo delle coscienze. Una Italia fatta di analfabeti, di ignoranti e di una classe media, appena nata, e che aveva necessità di far valere i propri diritti, di raggiungere una conoscenza ed un grado di cultura comune, di omologarsi e di diventare un ingranaggio del tessuto produttivo. Ecco allora la conoscenza, il nozionismo e la stessa disposizione fisica delle aule, con i banchi, le sedie la disposizione militare, la cattedra come muro, ecco la necessità di raggiungere come meta “il pezzo di carta”, il diploma come status sociale di affrancamento dalla povertà culturale del dopoguerra.
È stata una crescita sociale trionfale, ma che oggi non ha più ragione di esistere. Mi viene in mente il video originale dell’album The Wall dei Pink Floyd (1979) e quell’urlo disperato contro la massificazione della cultura “Ehi Teacher leave our kids alone”.
FINE PARTE 1
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