1) Nonostante il capolavoro di Schopenhauer (1788-1860), Il mondo come volontà e rappresentazione, che esprimeva il suo pensiero in forma pressoché compiuta, sia stato pubblicato nel 1819, sarebbe dovuto trascorrere un trentennio perché attirasse l'attenzione del pubblico, specialista e non, a causa del suo porsi in totale controtendenza con le principali correnti culturali della prima metà del secolo, caratterizzate da un ottimismo per più versi analogo: l'hegelismo, con la concezione dell'essenziale razionalità della realtà, manifestantesi nell'incedere della storia umana verso il sempre più compiuto dispiegamento della libertà, ed il positivismo, con l'esaltazione del progresso tecnico-scientifico. Fu il fallimento delle rivoluzioni quarantottesche ed il naufragio dei loro ideali ad aprire uno spazio a posizioni più o meno irrazionalistiche ed esistenzialistiche, ripiegate sulla condizione del singolo, volte alla messa in luce del carattere caotico e doloroso della realtà che egli concretamente vive, e di conseguenza alla denuncia dell'illusorietà delle concezioni appena ricordate.
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2) Ricollegandosi alla riflessione kantiana, Schopenhauer ne individuò il significato essenziale nella dimostrazione dell'inconsistenza delle idee metafisiche e religiose e nella compiuta dimostrazione filosofica della duplicità del mondo, diviso in fenomeno e cosa in sé, da lui intesi come apparenza (illusione, "velo di Maya") e realtà. Il carattere fenomenico del mondo rimanda al rapporto soggetto-oggetto, ovvero alla struttura conoscitiva del primo che ordina il materiale della propria percezione attraverso le forme a priori dello spazio (posizione reciproca delle cose), del tempo (loro relazione di successione) e della causalità (loro proprietà di agire, ovvero di determinare effetti sulle altre).
3) Quest'ordinamento dà luogo alle rappresentazioni, proprie, dunque, del nostro avere a che fare col mondo che ci circonda ("il mondo è mia rappresentazione"), e da Schopenhauer considerate illusorie perché non rivelanti ma celanti il senso di tale "avere a che fare". Per questo motivo, è illusoria la stessa conoscenza che le prende ad oggetto, la scienza, finalizzata al soddisfacimento delle necessità particolari dell'esistenza, senza la possibilità né l'interesse di coglierne l'intima essenza, il senso ultimo, la "realtà" che sta alla base dello stesso rapporto soggetto-oggetto…
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Friedrich Nietzsche, ovvero il progetto di un'umanità all'altezza di sé stessa
1) Il pensiero di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) è, come quello di Schopenhauer, di Freud, di Marx e di Kierkegaard, una radicale messa in discussione e demistificazione dei tradizionali valori culturali, filosofici, etici, religiosi e politici della storia occidentale, e per questo motivo è ben rappresentativo del suo periodo più che secolare di crisi e trasformazione, caratterizzato dall'affermazione su scala mondiale della borghesia e del capitalismo che, ben lungi dal realizzare i sogni degli illuministi e dei positivisti, hanno determinato, oltre al rapidissimo abbandono di vecchie consuetudini, spesso non sostituite da alcunché o da atteggiamenti peggiori, nuove motivazioni ed occasioni, via via più drammatiche, di angosce individuali e conflittualità inter- ed intra-statuali, e nuove forme politiche, più o meno "totalitarie" ma in ogni caso estremamente pervasive, che costituiscono nel complesso un motivo più che legittimo per dubitare della "razionalità" e "sensatezza" del mondo umano e del suo percorso ed, in ogni caso, ricercare delle soluzioni.
Empedocle: le radici del mondo e le forze che le governano
1) La ricerca dei primi filosofi era stata orientata all'individuazione del principio di tutte le cose, inteso di volta in volta in senso sostantivo oppure verbale. La svolta che portò a considerarlo definitivamente nel primo senso fu determinata dall'ambiguità del pensiero parmenideo, che produsse la convinzione che gli enti sensibili fossero, semplicemente, "falsi", e che compito della ricerca filosofica fosse l'individuazione dell'unico ente realmente "vero", cioè disvelato alla ragione.
Giordano Bruno: culmine anticristiano dell'umanesimo
1) La riflessione di Giordano Bruno (1548-1600) costituisce il momento culminante dell'esaltazione umanistica dell'autoaffermazione intramondana dell'uomo – da Abbagnano-Fornero presentata, in maniera parziale e, perciò, fuorviante, come mero "amore per la vita", quasi suggerendo l'idea di una celebrazione romantico-esistenziale del piacere dei sensi – comportando, per la prima volta in più di mille anni, una serrata critica del cristianesimo, sia nella sua versione cattolica che in quella riformata, che determinò, assieme allo spirito spregiudicato ed anti-tradizionalista del filosofo, i suoi continui scontri con gli intellettuali della sua epoca, ed una vita tormentata ed errabonda che si concluse, drammaticamente, con il rogo – un esito ahimè inevitabile di cui Abbagnano e Fornero si dolgono molto meno che per il suo non "essersi riconciliato con il Crocefisso".
Francis Bacon: la consapevolezza dei limiti della ragione come condizione del dominio della natura
1) Francis Bacon (1561-1626) si impegnò sia nell'esplicitazione dei motivi dell'importanza di quel dominio della natura auspicato da Giordano Bruno, sia nell'individuazione e celebrazione della scienza come dell'unico mezzo capace di raggiungerlo, intendendola come ricerca paziente e metodica, condotta da scienziati non isolati ma riuniti in gruppi di ricerca, e capace di produrre non conoscenze "pure" e "disinteressate" ma applicazioni tecniche progettate per il benessere dell'umanità, cioè per liberarla dai flagelli della miseria e delle malattie.
Socrate: la ridefinizione della verità come precondizione di una politica giusta
1) Socrate (470-399 a. C.) intese la verità non come un complesso di conoscenze compiute, ma come il rigore formale di un processo dialogico caratterizzato da
a) preliminare riconoscimento dei pregiudizi, ovvero delle convinzioni implicite ed infondate sulla cui base ci si esprime su questioni di cui non si possiede una conoscenza effettiva: fingendo di accettare quelle del proprio interlocutore (ad esempio sulla giustizia), Socrate lo invita a passare dalle esemplificazioni particolari alla sua definizione precisa ("che cos'è?"), incalzandolo con una serie di interrogativi che, evidenziandone la contraddittorietà, lo spingono a rendersi conto della propria sostanziale ignoranza in merito ("sapere di non sapere") e della conseguente necessità di un ripensamento ed una
b) chiarificazione dei termini fondamentali del problema, in base alla quale si potrà procedere ad uno
c) svolgimento delle successive argomentazioni non contraddittorio con quanto stabilito e con lo stesso processo dialogico, evitando, cioè, la pretesa di "chiuderlo", ossia di sottrarsi all'eventuale necessità di ulteriori revisioni ed approfondimenti, pena la ricaduta in nuovi pregiudizi.
Condizioni di possibilità e limiti della conoscenza scientifica: la "Critica della ragione pura" di Kant
1) Il pensiero di Immanuel Kant (1724-1804) costituisce il punto di confluenza e la sintesi delle tematiche dell'empirismo e del razionalismo, configurandosi così come momento culminante della filosofia moderna (e, più in particolare, dell'Illuminismo) e, al tempo stesso, luogo d'origine di quella contemporanea. Della sua opera considereremo qui solo la parte in questo senso fondamentale – e dunque gli scritti del cosiddetto periodo "critico" – ricordando soltanto, a proposito della sua lunga gestazione, che nei suoi studi giovanili Kant era stato influenzato dall'ideale illuminista di una filosofia naturalistica fondata sulla fisica newtoniana, e come quella impegnata ad evitare l'introduzione di cause e forze trascendenti la semplice descrizione dei fenomeni. Avvertiva tuttavia l'esigenza di una fondazione razionalistica di tale filosofia, che, pur consapevole della strutturale limitatezza della ragione umana messa in luce dall'empirismo, fosse tuttavia capace di evitarne l'esito scettico e, tendenzialmente, irrazionalistico, che in ultima analisi poteva pregiudicare la stessa attendibilità della conoscenza scientifica.
Eraclito: gnoseologia ed ontologia
1) Eraclito (VI-V secolo) è il primo a dichiarare la convinzione da cui implicitamente muovevano i pensatori precedenti, ovvero la contrapposizione tra la riflessione filosofica, intesa come via d'accesso all'αρχή, e la mentalità comune, con ciò intendendo sia il complesso di conoscenze funzionali alla quotidianità che quella delle "autorità" tradizionali (intellettuali di prestigio, anziani) e dei cultori di tecniche e discipline specialistiche: tutti accomunati dall'impossibilità di accedere – anche se, presumibilmente, solo in quanto specialisti – alla visione della profonda unità delle cose, e dall'illusoria credenza nella loro separazione: "il sapere molte cose non insegna a pensare in modo retto; altrimenti lo avrebbe insegnato a Esiodo, a Pitagora e altresì a Senofane e a Ecateo. Esiste una sola sapienza: riconoscere l'intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose".
2) Impropriamente definito, dalla tradizione, il "filosofo del divenire" – come se la consapevolezza del cambiamento non fosse qualcosa di originario! –, Eraclito, piuttosto, come tutti i filosofi, ne prende le mosse, e denomina tale subentrare della diversità come "successione dei contrari", intendendo il termine "contrario", in senso ampio, come sinonimo di "diverso": il che significa che sarebbe improprio affermare, esemplificando, che al giorno segua la notte, alla luce il buio, alla vita la morte, dovendosi piuttosto dire che al giorno segue il "non giorno", alla luce la "non luce", alla vita la "non vita"...
Galilei: principi e conclusioni (provvisorie) di una scienza nuova
1) L'importanza di Galileo Galilei (1564-1642) sta per un verso nell'elaborazione della metodologia della ricerca scientifica moderna, capace di sintetizzare le esigenze e superare le realizzazioni di Bacon e Cartesio, per un altro nelle sue indagini fisiche ed astronomiche da quella rese possibili e per un altro ancora in una battaglia culturale volta ad affermare l'autonomia della scienza nei confronti del sapere tradizionale – e dei suoi rappresentanti – e delle autorità religiose, nella fattispecie dalla interpretazione della Bibbia operata dalla Chiesa Cattolica – a cui pure egli non intendeva nuocere ma, piuttosto, giovare, nella persuasione che la religione, "rimanendo ancorata a tesi dichiarate false dal progresso scientifico, avrebbe inevitabilmente finito per squalificarsi dinanzi agli occhi dei credenti".
La Patristica e Sant'Agostino: nascita e perfezionamento della filosofia cristiana
1) Il fatto che il cristianesimo, in quanto religione rivelata, non fosse il risultato di una ricerca filosofica, non significava certamente che non gli si ponesse la necessità di chiarificare e sistemare organicamente le proprie concezioni; questo, insieme alle "esigenze di interpretazione dei testi sacri (ricchi di esempi, immagini figurate, allegorie) e di chiarificazione di punti complessi della dottrina, così come il confronto di alcuni [suoi] concetti fondamentali con quelli elaborati dalla filosofia" imponeva necessariamente un tipo di riflessione, a suo modo "filosofica", che avrebbe dunque potuto giovarsi della concettualità greca.
Gorgia: retorica e scelta come via d'uscita pragmatica dal nichilismo
Mentre la riflessione protagorea, tutto sommato, non era andata a toccare le questioni tipiche delle filosofie precedenti, pur ponendo le premesse per la loro messa in discussione, quella di Gorgia da Lentini (485-376) lo fa nella maniera più radicale: e così, mentre i primi filosofi, pur nelle diverse soluzioni che avevano fornito al problema dell'arché, erano almeno stati accomunati dalla persuasione della sua esistenza, e dunque della possibilità della sua conoscenza, e quelli immediatamente successivi avevano ritenuto, contro Parmenide, che fosse possibile una spiegazione certa e inoppugnabile anche del mondo che ci circonda, Gorgia afferma, con la massima radicalità, che «nulla è; se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile; se anche fosse conoscibile non sarebbe comunicabile»...
Karl Marx: progettualità politica radicale e potenzialità ermeneutica della scienza economica
1) Per introdurre il pensiero di Karl Marx (1818-83) è opportuno ricordare che il suo sodale Friedrich Engels (1820-95) affermò, nel discorso funebre a lui dedicato, che egli fu anzitutto un rivoluzionario: gli aspetti economici, sociologici giuridici, storici e filosofici dei suoi studi costituiscono i diversi ed organici momenti di un progetto politico complessivo volto alla comprensione – e, perciò stesso, alla promozione – del processo in atto nella società contemporanea, che per lui avrebbe determinato l'abbattimento del sistema economico capitalista da parte del proletariato, classe sociale da esso stesso generata, e quindi la sua instaurazione di una società comunista.
Il positivismo di Auguste Comte: teoria della scienza e sua finalità politica
1) Il Positivismo, nato "in Francia nella prima metà dell'Ottocento [nell'atmosfera culturale creatasi attorno alla prima grande scuola della borghesia industriale francese, l'Ècole Polytechnique] ed impostosi, [con il diffondersi dell'industrializzazione] a livello europeo e mondiale, nella seconda parte del secolo", fu una corrente culturale caratterizzata dall'esaltazione della scienza e delle sue applicazioni tecniche, giustamente considerate come essenza della rivoluzione industriale, a sua volta causa di trasformazioni sociali e dell'incremento – almeno potenziale – del benessere della maggioranza della popolazione.
Parmenide e Zenone: l'impossibilità di una conoscenza assoluta del mondo empirico
1) Il pensiero di Parmenide di Elea (VI-V sec. a.C.), autore di probabile formazione pitagorica e dell'opera in versi successivamente intitolata Intorno alla natura, ci è stato trasmesso in un'interpretazione sostanzialmente fuorviante che, proprio per la sua diffusione, non può essere accantonata, nonostante la sua necessità e proprio in vista di un suo superamento.
Sigmund Freud: l'apertura psicoterapeutica di una consapevolezza scomoda
1) L'attenzione del giovane Sigmund Freud (1856-1939) per gli studi del neuropsichiatra francese Jean Martin Charcot fu determinata dal fatto che questi, a differenza dei suoi colleghi di scuola positivista, prendeva in seria considerazione anche gli stati psiconevrotici (quali paralisi, convulsioni, attacchi epilettici, anoressia, bulimia, etc.) non riconducibili a lesioni organiche, ma a processi psichici autonomi, sforzandosi di curarli per mezzo dell'ipnotismo.
Martin Heidegger: l'autenticità come precondizione della libertà del rapporto con la tecnica
1) La tesi fondamentale dell'esistenzialismo è che l'oggetto più proprio della filosofia è la concretezza della condizione umana; appunto per questo Jean Paul Sartre, nell'opera del 1946 L'esistenzialismo è un umanismo, afferma che "siamo su di un piano dove ci sono soltanto uomini". Heidegger (1889-1976) – spesso accostato, erroneamente, al pensiero esistenzialista – nella sua Lettera sull'umanismo (1949), prende le distanze da quest'assunto, rivendicando la specificità della propria posizione filosofica, per la quale "siamo su di un piano dove c'è principalmente l'Essere"; e la questione che l'ha occupato per tutta la vita è appunto quella del significato fondamentale dell'essere, problematico nonostante il fatto che, come si legge nell'opera del 1927 Essere e tempo (la prima che rese note al grande pubblico le ricerche del filosofo), in qualche modo tutti credono di sapere cosa significhi "essere". Ciascuno di noi, infatti, comprende senza problemi il significato di espressioni quali "Il cielo è azzurro", "Sono contento", "Non c'è tempo", e così via.
Bernardino Telesio: impostazione dei due momenti fondamentali della rivoluzione scientifica
1) L'importanza di Bernardino Telesio (1509-88) sta nell'aver contribuito a preparare la rivoluzione scientifica, se non sul piano delle realizzazioni concrete, su quello dei suoi presupposti concettuali e metodologici, consistenti nella preliminare messa in discussione delle concezioni tradizionali e nella successiva indicazione delle modalità di sviluppo di una conoscenza proficua.
2) Sin il titolo della sua opera principale, La natura secondo i suoi propri principi, costituisce una polemica con l'allora dominante aristotelismo, incapace di indagare la natura, "costringendola" in concetti razionalistici, astratti e arbitrari (anima, materia, forma, essenza, etc.), anziché considerarla in sé stessa.
L'umanesimo: ideale "borghese" dell'autoaffermazione intramondana dell'uomo
1) La cultura umanistico-rinascimentale, considerata unitariamente, si colloca storicamente tra la fine del '300 e quella del '500, ossia nel periodo delle varie fasi di sviluppo di forme istituzionali distinte da quelle medievali, gli Stati moderni, anzitutto quelli comunali prima e regionali poi in Italia e Germania, e quindi quelli nazionali in Francia, Spagna, Olanda e Inghilterra, destinati a sorti ben più luminose.
Razionalismo teologico, filosofia politica e teoria della guerra giusta in Tommaso d'Aquino
1) Intercorrono quattro secoli fra l'epoca di Sant'Agostino e la nascita della filosofia "Scolastica", così detta perché sviluppatasi nei livelli superiori delle scuole medievali, organizzatesi a partire dall'età carolingia e caratterizzate dalla riflessione sui rapporti, variamente intesi, tra la fede cristiana e la ragione.
2) Il presupposto generale è la "superiorità" della prima, e non l'inutilità della seconda che, come già era stato per Sant'Agostino, è fondamentale sia per comprendere ed ordinare le verità rivelate, sia per presentarle agli infedeli – cioè ai credenti nella giovane e potente nuova religione musulmana – facendo leva sulla loro accettabilità per la ragione.
3) Tommaso d'Aquino (1221-1274) costituisce il vertice della speculazione scolastica, fondando, sulla base dell'elaborazione aristotelica, un sistema filosofico tuttora fortemente presente nel pensiero cattolico.
L' "esistenzialismo laico" di Arthur Schopenhauer
1) Nonostante il capolavoro di Schopenhauer (1788-1860), Il mondo come volontà e rappresentazione, che esprimeva il suo pensiero in forma pressoché compiuta, sia stato pubblicato nel 1819, sarebbe dovuto trascorrere un trentennio perché attirasse l'attenzione del pubblico, specialista e non, a causa del suo porsi in totale controtendenza con le principali correnti culturali della prima metà del secolo, caratterizzate da un ottimismo per più versi analogo: l'hegelismo, con la concezione dell'essenziale razionalità della realtà, manifestantesi nell'incedere della storia umana verso il sempre più compiuto dispiegamento della libertà, ed il positivismo, con l'esaltazione del progresso tecnico-scientifico. Fu il fallimento delle rivoluzioni quarantottesche ed il naufragio dei loro ideali ad aprire uno spazio a posizioni più o meno irrazionalistiche ed esistenzialistiche, ripiegate sulla condizione del singolo, volte alla messa in luce del carattere caotico e doloroso della realtà che egli concretamente vive, e di conseguenza alla denuncia dell'illusorietà delle concezioni appena ricordate.
Anassagora: pluralismo materiale e progetto razionale del mondo
1) Anassagora (500-428 a.C.) radicalizzò il tema parmenideo dell'impossibilità del passaggio dal non essere all'essere, affermando che i principi, da lui definiti semi, fossero di generi tanti e tanto vari quanto le differenze tra ed all'interno delle cose; inoltre, recependo l'istanza zenoniana, concepì tali semi come infinitamente divisibili (e perciò costituenti una massa infinita), in parti che però mantengono la loro stessa natura: così, ad esempio, le parti in cui si divide il seme del legno saranno esse stesse lignee. Per questa ragione Aristotele denominò i semi omeomerie, che significa appunto "parti simili [al tutto che compongono]". Anche in questa concezione, ovviamente, la nascita e la morte sarebbero, come tali, illusorie, perché equivalenti soltanto a composizione e scomposizione dei semi.
L'impostazione milesia dei problemi fondamentali della filosofia
1) I pensatori a cui si fa risalire l'inizio della filosofia furono denominati da Aristotele "fisiologi" o fisici, cioè naturalisti, studiosi della natura (φύσις).
Platone: antidemocrazia e fondazione "scientifica" dello Stato giusto
1) Socrate, pur condividendo la persuasione sofista dell'impossibilità di discorsi "definitivi", cercò di superarne il relativismo, tendenzialmente foriero di una politica "ingiusta", cioè basata essenzialmente sulla forza e sulla sopraffazione reciproca, concentrandosi sulla definizione rigorosa dei problemi etico-politici, la cui autentica dimensione era da acquisire proprio in quell'inesauribile processo dialogico che idealmente rispecchiava la democrazia della polis.
2) Per il suo allievo Platone (427-347 a.C.), invece, era proprio quest'ultima ad essere essenzialmente causa di ingiustizia, giacché il suo presupposto relativistico – ovvero la persuasione che chiunque potesse legittimamente esercitare il potere –, abbinato alla verosimile impossibilità che tutti fossero virtuosi, cioè filosofi nel senso socratico, costituiva un terreno fertile per l'affermazione di politici senza scrupoli come Callicle.
3) Tutto ciò era stato, nella sua ottica, alla base della crisi del sistema delle polis, effettivamente indebolite dai conflitti tra le diverse fazioni, spesso al limite della guerra civile, dalla continua esposizione all'instabilità dei regimi corrotti e all'insostenibilità di quelli più o meno larvatamente tirannici (esemplare, in tal senso, la sorte di Socrate), dai contrasti esterni dovuti alle conseguenti ambizioni egemoniche (si pensi alla rivalità tra Sparta ed Atene) che ne minacciavano l'indipendenza tanto quanto la pressione di imperi stranieri (dopo aver fronteggiato a fatica la minaccia persiana, nel giro di un paio di generazioni le città greche sarebbero state assorbite nell'impero macedone, perdendo ogni autonomia).
La sofistica e Protagora: svolta umanistica della filosofia e vie d'uscita dal relativismo
1) La filosofia da Talete ad Anassagora si era caratterizzata essenzialmente come "fisica", ossia come riflessione sulla natura; con la sofistica, invece, che tralasciò il problema dell'archè e concentrò la propria attenzione sull'uomo inteso non come ente biologico, "animale", ma a partire dalle problematiche legate alla vita associata, ovvero la morale, il diritto, la politica, la religione, nacque la sua prima specializzazione, origine remota delle discipline "umanistiche" contemporanee.
Lo studio scientifico del comportamento umano come condizione dell'ordinamento politico ottimale: Hobbes
1) La peculiarità di Thomas Hobbes (1588-1679) nel contesto della rivoluzione scientifica è l'essere stato uno dei primi ad averla estesa allo studio del comportamento e della società umana, mettendo da parte, come già fatto da Telesio, Bruno, Bacon, Cartesio, Galilei, i pregiudizi e le filosofie precedenti, ed utilizzando un approccio sistematico inteso a restituire una compatta e "totalizzante" visione del mondo che «avrebbe dovuto esporre le leggi della materia, dell'uomo e dello Stato con un metodo quanto più possibile deduttivo", simile a quello cartesiano, allo scopo, umanisticamente "tecnico", di «porre i fondamenti di una comunità ordinata e pacifica, che egli crede possibile soltanto sulla base di uno Stato assoluto».
L'atomismo: un'anticipazione della filosofia scientifica moderna
1) Democrito (460-370 a.C.) fu l'esponente più noto della scuola fondata da Leucippo di Mileto, i cui autori non sono facilmente distinguibili e la cui importanza sta nell'aver costituito una grande alternativa a quella platonico-aristotelica, che se non produsse influenze immediate almeno mise fine all'apparente vanogioco della confutazione reciproca tra esponenti dello stesso filone di ricerca, mettendo a punto un filone di ricerca che sarebbe stato ripreso agli albori della rivoluzione scientifica, prima in maniera non dichiarata e poi, agli inizi dell'800, esplicitamente, dal fisico e chimico John Dalton, venendo infine abbandonata solo un secolo dopo, in seguito alla scoperta del fenomeno della radioattività, che dimostrava che ciò che, riprendendo l'antica lezione, era stato denominato "atomo" era in realtà un entità composita e di natura non semplicemente "materiale".
Carl Schmitt: dalla critica del liberalismo giuridico al decisionismo politico
1) Giurista tedesco, nato a Plettenberg (Westfalia) nel 1888, ed ivi spentosi nel 1985, la sua riflessione si colloca a ridosso delle due guerre mondiali, in un periodo in cui è ormai conclusa la da lui definita "epoca interstatale del diritto internazionale" ("jus publicum europaeum"), compresa tra il XVI secolo e la fine del XIX, e contrassegnata dal superamento delle guerre civili di religione del periodo immediatamente precedente e dalla conseguente trasformazione della guerra in "guerra tra Stati sovrani europei […] statalmente autorizzata e statalmente autorganizzata": il che significa che, in quel contesto storico la guerra, proprio come un "duello tra gentiluomini", non veniva considerata un'aggressione o un crimine, ma un legittimo confronto fra entità reciprocamente riconoscentisi come Stati sovrani, aventi cioè la potestà di decidere "intorno all'amicizia, ostilità, o neutralità reciproca".
Søren Kierkegaard: l'esistenzialismo religioso come alternativa alla spiegazione scientifica del mondo
1) Come nel caso di filosofi come Socrate o Giordano Bruno, l'importanza della vita di Kierkegaard (1813-55) – condotta solitariamente, "permeata da un profondo senso del peccato" (Abbagnano-Fornero) concretizzantesi in un oppressivo senso di colpa, e caratterizzata, negli ultimi anni, dalla "polemica contro la Chiesa protestante danese" (Abbagnano-Fornero), giudicata, a causa della sua "mondanizzazione", del tutto distante dall'autenticità religiosa – sta nell'attestazione del rilievo pratico, ovvero delle ricadute sul piano esistenziale (e non "politico", come nel caso dei due sopracitati) del suo pensiero, destinato ad una più che consistente fortuna postuma allorquando, più di mezzo secolo dopo, si sarebbe venuto a costituire un contesto ideale per la sua ricezione, testimoniata dalla ripresa da parte delle filosofie "esistenzialiste".