Empedokles1) La ricerca dei primi filosofi era stata orientata all'individuazione del principio di tutte le cose, inteso di volta in volta in senso sostantivo oppure verbale. La svolta che portò a considerarlo definitivamente nel primo senso fu determinata dall'ambiguità del pensiero parmenideo, che produsse la convinzione che gli enti sensibili fossero, semplicemente, "falsi", e che compito della ricerca filosofica fosse l'individuazione dell'unico ente realmente "vero", cioè disvelato alla ragione.

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2) Ora, un'epoca in cui si andavano ponendo le basi della conoscenza "scientifica" (che, si badi, aveva un senso per lo più "contemplativo", e non tecnico-applicativo come quella odierna, eccezion fatta, parzialmente, per la medicina) non poteva né accettare la liquidazione della spiegazione razionale della realtà sensibile operata da Zenone, accontentarsi, con Parmenide, di una sua conoscenza soltanto verosimile: da ciò l'esigenza di "salvare i fenomeni", cioè di spiegarli in una maniera "razionale" che, facendo tesoro della lezione eleatica, fosse capace di dar conto della loro molteplicità evitando le contraddizioni in cui sembravano incappare i filosofi milesi.

3) Infatti, la loro convinzione secondo cui da un unico principio qualitativamente omogeneo potesse derivare la molteplicità eterogenea dei fenomeni sembrava implicare l'inconcepibile ed impossibile passaggio dall'essere al non essere. I cosiddetti fisici pluralisti aggirarono quest'ostacolo concependo la φύσις come una molteplicità di principi immutabili ("elementi"), la cui combinazione spiegherebbe la varietà dei fenomeni ed il loro divenire, consistente non nell'impossibile passaggio dall'essere al non essere, ma nel succedersi di aggregazioni determinate di elementi immutabili, indistruttibili ed eterni, cioè aventi tutte le caratteristiche dell'essere parmenideo, eccezion fatta per l'unicità e l'immobilità...

 

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