1) Anassagora (500-428 a.C.) radicalizzò il tema parmenideo dell'impossibilità del passaggio dal non essere all'essere, affermando che i principi, da lui definiti semi, fossero di generi tanti e tanto vari quanto le differenze tra ed all'interno delle cose; inoltre, recependo l'istanza zenoniana, concepì tali semi come infinitamente divisibili (e perciò costituenti una massa infinita), in parti che però mantengono la loro stessa natura: così, ad esempio, le parti in cui si divide il seme del legno saranno esse stesse lignee. Per questa ragione Aristotele denominò i semi omeomerie, che significa appunto "parti simili [al tutto che compongono]". Anche in questa concezione, ovviamente, la nascita e la morte sarebbero, come tali, illusorie, perché equivalenti soltanto a composizione e scomposizione dei semi.
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2) Ogni cosa è composta, in proporzioni diverse, da tutti i tipi di seme (che noi non percepiamo a causa della debolezza dei nostri sensi), e quello presente nella quantità maggiore ne determina la natura apparente: così, ad esempio, una pietra contiene in sé i semi del legno o del ferro, ma in misura trascurabile; una convinzione che proviene ad Anassagora, empiricamente, dall'osservazione del fenomeno della nutrizione: il cibo di ciascun animale consente la ricostituzione di tutte le parti del suo corpo, anche se dal cibo stesso sono apparentemente assenti: così, mangiando pane o carne si formano i capelli, la pelle, le unghie, le ossa, etc.: ma ciò, per il filosofo, è possibile solo perché quegli alimenti ne contengono i semi in minima parte...
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