SatiraPubblichiamo la lettera  inviataci in redazione da Emanuela Marmo dopo i tragici fatti di Parigi con riflessioni molto interessanti sulla satira e spunti sull'importanza e necessità di trattarla a scuola. Emanuela Marmo impegnata da tempo in progetti cuturali e artistici si occupa di satira ed è stata tra gli organizzatori del Festival internazionale della Satira e curatrice della rassegna "Satira a piccole dosi".

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Che idea abbiamo dell'educazione e della formazione ? Le consideriamo forme di addestramento e di persuasione ? O sono davvero un laboratorio dialettico, composito, ispirato dal valore del rispetto, dall'umanità della relazione, nutrito da abilità e conoscenze indirizzate allo sviluppo di un uomo libero, in grado di scegliere e di esercitare onestamente la propria libertà ?", è solo uno tra i suoi spunti in cui propone agli insegnanti un confronto sulla possibilità di trattare la satira a scuola in un ipotetico progetto didattico.  
 

Di seguito il testo della lettera inviato in redazione:

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   "Mi occupo di satira dal 2003, ho avuto la fortuna di mettere a frutto gli studi compiuti sul genere in manifestazioni importanti, tra cui due edizioni del Festival Internazionale della Satira di Salerno [2006 e 2008]. Oggi dedico alla satira una rubrica di commento sul quotidiano indipendente [www.ilpasquino.net] e una rubrica radiofonica [www.radio Base.fm].

    Nello scorso mese di ottobre, a Salerno, ho curato una rassegna intitolata "Satira a piccole dosi", quattro appuntamenti ciascuno dei quali imperniato su uno specifico percorso tematico: la satira e la religione; la satira e la parola; la satira e l'informazione; personalità satiriche di confine... Al termine della kermesse ho avuto l'opportunità, peraltro inattesa, di confrontarmi con un pubblico eterogeneo, di curiosi piuttosto che di estimatori. Sono stata pertanto avvicinata da alcuni insegnanti di licei della provincia di Salerno, i quali mi hanno suggerito di candidare presso i propri istituti progetti didattici collegati alla satira. Vorrei dare credito al loro entusiasmo, ponendo tuttavia una premessa: viaggiare nel mondo della satira non porta solo all'irriverente filosofia di Müsil, alla poetica del grottesco di Dürrenmatt, alla creatività linguistica di Fo; avvicina al parlato sporco della stand up comedy, alla sfacciata caricatura politica delle vignette, ai disegni carnali di Riccardo Mannelli e a quelli animati e anticlericali di Astutillo Smeriglia, come alle serie più commerciali e popolari. Nell'elaborare un'idea, alla ricerca di un metro di confronto, mi sono sforzata di ricordare in che modo avessi sentito parlare della satira a scuola. Se ne discuteva con i compagni di banco, tradizionalmente all'indomani degli show di Corrado Guzzanti, e poi? Ah, be', sì certo... Satira tota nostra est [Quintiliano].

      Tota nostra est... e in toto andrebbe conosciuta e valutata, affinché anche attraverso un genere artistico promiscuo e di confine, gli studenti scelgano e formino propri ordini di giudizio, estetici ed etici.  

        La satira che ho conosciuto negli anni mi ha spesso messo nelle mani casi "mediatici" nonché veri e propri modelli. Corax, vignettista serbo che ha sfidato la dittatura Milosevic; Ivan Kulekov, che si candidò nel '96 alle presidenziali con una lista composta da maiali e animali da fattoria; Alì Ferzat, vignettista siriano al quale, solo alcuni anni fa, la polizia ha rotto tutte le dita delle mani; la tenacia delle redazioni satirico-giornalistiche tunisine, algerine, marocchine, chiuse, riaperte, in esilio, riorganizzate su web, disposte a rinnovarsi a ogni tentativo militare o burocratico per la messa in silenzio di voci di protesta e di dissenso; Crazy Crab, i suoi fumetti anti-censura e di denuncia. Ho conosciuto Le canard enchaîné e un tipo di giornalismo investigativo, capace di far cadere ministri, intoccabile di fatto grazie al sostegno, anche finanziario, di un pubblico di lettori affamato di verità. Ho conosciuto Charlie Hebdo e le sue controverse, ma appassionanti crociate contro ogni oscurantismo religioso. Ho conosciuto i grandi satiri italiani e insieme moltissime questioni sociali sollevate da intellettuali, giornalisti, uomini di stato, tutti accomunati dalla ricerca dei fatti e della realtà, spesso eroi per puro caso, per aver compiuto il proprio dovere. La resistenza e la perseveranza negli obiettivi, professionali e morali, così osservate sospinge una domanda: chi sono stati i maestri, gli insegnanti di queste persone?

      Sebbene lusingata dai suggerimenti entusiastici dei vostri colleghi, a distanza di alcuni mesi ancora esito a compilare il mio progetto. Invece di farlo, scrivo a voi tutti.

   La satira ha origini antiche, la cultura latina ne rivendica l'invenzione. Se l'invenzione di un genere artistico corrisponde a un bisogno, forse ne ha per prima maturato la peculiare necessità. Ma dalla letteratura latina ad oggi il genere satirico si è trasformato. L'introduzione di un ragionamento sulla satira all'interno della scuola, che non sia limitata alla storia passata, dipende dalle domande che seguono, sulle quali cerco un confronto con voi.

   Insegnare significa anche perseguire un certo progetto sociale. I programmi scolastici sono pensati, consolidati, portati a termine secondo una serie di caratteristiche ritenute giuste per la società che immaginiamo per il futuro.

     Educando e formando i nostri figli, sentiamo davvero il bisogno che siano liberi, indipendenti, autonomi nelle idee e nei giudizi?

   All'interno della vita rituale e sociale, i Saturnalia, i Baccanalia, i carnevali prevedevano il sovvertimento della norma; nel legittimare tutto ciò, le feste garantivano un argine temporale che canalizzava le capacità collettive di rottura verso un conseguente recupero, emancipato e consapevole, della norma violata. Parimenti la satira infrange codici, decostruisce ciò a cui ci conformiamo e a cui ci restituisce, attuando un riscatto parziale ma efficace in termini di autonomia di pensiero e presenza a se stessi nelle scelte abituali della quotidianità. La satira, dunque, autorizza un sovvertimento circostanziato, selezionato, delle gerarchie convenzionali, fornendo al sapere e alla conoscenza contenuti alternativi, con modalità alternative e di conoscerli e di comunicarli.

   Sentiamo e riconosciamo il bisogno e il diritto di sperimentare tali alternative? Quando educhiamo e formiamo i nostri figli lo facciamo per tramandare e consolidare conoscenze acquisite, o per avviarne anche di nuove?

   La domanda non è ingenua e la risposta non facile. Se riteniamo che educazione e formazione siano attività dialogiche, volte a lasciare ai nostri figli eredità aperte anche al loro contributo, dobbiamo pure ammettere che l'autorità della tradizione non è inviolabile e la provocazione del dubbio non è da considerarsi pericolo, al contrario essa è una funzione interrogativa, interattiva che permette alla cultura di mettersi alla prova con coraggio e di vagliare, in forza della tenuta provata dei valori, argomenti e ideali.

     La satira è scivolosa. Ogni volta che se ne parla, si tenta di chiarirne i limiti, come se fosse possibile fare del buon gusto soggettivo un parametro generale. Vero è che spesso la satira abbandona la sfera strettamente artistica, diventa protesta civile, manifestazione sociale, informazione e non poterne parlare come di un'opera artistica in senso stretto turba e impedisce sovente di fissare livelli di qualità compatibili con quelli di utilità del messaggio. La satira, come se non bastasse, è fonte di imbarazzo, utilizza le figure retoriche più estreme, l'oscenità, il grottesco, la caricatura, e scompagina l'intoccabilità dei poteri, tra i quali annovero sia quelli politici che religiosi.

    Un corso, un progetto, un laboratorio didattico sulla satira dovrebbe assumere un atteggiamento problematico anche rispetto alle modalità con cui le materie vengono insegnate e verso alcune materie in particolare. Ma potrebbe farlo? La scuola riuscirebbe a moderare e a progredire, ad esempio, nel dialogo tra il pensiero laico e quello religioso? Potrebbe costituire un sistema-modello che favorisca di fatto lo scambio di opinioni, offrendo ad esse pari opportunità nel contribuire alla formazione dei cittadini futuri?

   Nel 2005 il Consiglio per l'Istruzione del Kansas stabilì di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze in alternativa alla teoria dell'evoluzione e con pari numero di ore. Bobby Henderson, laureato in fisica all'Oregon State University, inviò una lettera al Kansas State Board of Education: parodiando il concetto di "disegno intelligente", alla base delle teorie creazioniste,professò di credere in un Prodigioso Spaghetto Volante e chiese altrettante ore di insegnamento per il Pastafarianesimo, religione da lui così fondata. Ragionamento per assurdo e rigore critico determinano "comportamenti": un deputato pastafariano siede in parlamento europeo e come molti altri pastafariani lotta contro i privilegi di casta, a cominciare da quelli religiosi, lotta contro le discriminazioni sessuali e razziali; alcuni pastafariani stanno sperimentando forme di attivismo satirico per sposare cause di interesse sociale [Giampietro Belotti, Il nazista dell'Illinois].

  Un progetto didattico sulla satira certamente dovrebbe ricontestualizzare tematiche utilmente individuate anche in base all'età degli allievi, spiegandole, ponendo le condizioni per una loro lucida comprensione; resta il fatto che gli studenti dovrebbero essere messi in grado di gestire informazioni, documenti, opere che evidenziano incoerenze e coercizioni, quali si presentano nella nostra società a livelli disparati, includendo i poteri religiosi che – come i fatti parigini stanno dimostrando – aggregano, omogeneizzano le comunità in assetti che sovente impongono condizioni al vivere civile.

     La satira non è eretica, però secerne le dimensioni del sacro, i progetti politici dalle logiche e dai luoghi del potere; filtra con sarcasmo l'etica della tolleranza, ufficialmente promossa, dall'affermazione di prospettive moratorie e discriminanti, di fatto adottate.

In sede didattica si può discutere di ciò che la satira dissacra?

    La satira insegna la responsabilità e il merito, è una lente di ingrandimento sul rapporto forma-sostanza, apparenza-realtà, a caccia di punti di cedimento e di adulterazione. Abbiamo dunque bisogno e riconosciamo il bisogno dei nostri figli di mettere sotto esame l'onestà e l'adesione di responsabilità ai disparati ruoli a cui, per autorità, il loro percorso di maturazione deve affidarsi?

      Che idea abbiamo dell'educazione e della formazione? Le consideriamo forme di addestramento e di persuasione? O sono davvero un laboratorio dialettico, composito, ispirato dal valore del rispetto, dall'umanità della relazione, nutrito da abilità e conoscenze indirizzate allo sviluppo di un uomo libero, in grado di scegliere e di esercitare onestamente la propria libertà?

      Potrei proporre serenamente un progetto scolastico sulla satira, senza dover omettere – ad esempio – di professare la mia fede pastafariana? La domanda è posta e sto già sorridendo.

      A quei docenti, così convinti dell'originalità delle riflessioni scaturite in occasione di "Satira a piccole dosi", rispondo che mi piacerebbe moltissimo curare un progetto didattico sulla satira all'interno della scuola, ma in via preliminare e problematica sento di dover ancora chiarire in che misura la scuola possa aprirsi a un esperimento del genere, a un progetto che dovrebbe portare gli allievi all'interno delle redazioni, a contatto diretto e non filtrato con la lavorazione delle notizie, nei laboratori di stand up comedy, nelle piazze accanto ai situazionisti satirici, un progetto cioè che tenterebbe la scuola ad uscire dai propri edifici e a incontrarsi con il mondo contemporaneo.

A voi, opinioni e suggerimenti che accrescano la mia esperienza.

Grazie. Emanuela Marmo
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