1) Eraclito (VI-V secolo) è il primo a dichiarare la convinzione da cui implicitamente muovevano i pensatori precedenti, ovvero la contrapposizione tra la riflessione filosofica, intesa come via d'accesso all'αρχή, e la mentalità comune, con ciò intendendo sia il complesso di conoscenze funzionali alla quotidianità che quella delle "autorità" tradizionali (intellettuali di prestigio, anziani) e dei cultori di tecniche e discipline specialistiche: tutti accomunati dall'impossibilità di accedere – anche se, presumibilmente, solo in quanto specialisti – alla visione della profonda unità delle cose, e dall'illusoria credenza nella loro separazione: "il sapere molte cose non insegna a pensare in modo retto; altrimenti lo avrebbe insegnato a Esiodo, a Pitagora e altresì a Senofane e a Ecateo. Esiste una sola sapienza: riconoscere l'intelligenza che governa tutte le cose attraverso tutte le cose".
2) Impropriamente definito, dalla tradizione, il "filosofo del divenire" – come se la consapevolezza del cambiamento non fosse qualcosa di originario! –, Eraclito, piuttosto, come tutti i filosofi, ne prende le mosse, e denomina tale subentrare della diversità come "successione dei contrari", intendendo il termine "contrario", in senso ampio, come sinonimo di "diverso": il che significa che sarebbe improprio affermare, esemplificando, che al giorno segua la notte, alla luce il buio, alla vita la morte, dovendosi piuttosto dire che al giorno segue il "non giorno", alla luce la "non luce", alla vita la "non vita"...
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