Settembre non sarà più l’emergenza, o almeno tutti lo speriamo. Mancano poco meno di 4 mesi, anche se, considerando che sono trascorsi già 70 giorni dal primo DCPM, la progettazione del nuovo anno scolastico avrebbe dovuto già essere in cantiere da tempo. Quando si tampona un’emergenza veramente imprevedibile, occorrerebbe avere fin da subito uno sguardo che non si limita a soffermarsi sull’esigenza del momento ma che si spinge più avanti, per capire come muoversi “dopo”.
E quindi ? Cosa ci aspetta ? Sicuramente il personale scolastico nella sua totalità guarda al futuro con grande apprensione. La scuola non è un luogo di lavoro come gli altri. E’ innanzi tutto un riferimento e un punto di partenza per tutti coloro che ne usufruiscono. In questi giorni leggiamo molte dichiarazioni in merito alle possibili soluzioni e ci rendiamo conto che non è così facile e immediato come sembra.
Lo smart working e la didattica a distanza non sono la stessa cosa. Quando hai a che fare con dei bambini, con degli adolescenti, non puoi pensare di trasferire via web quello che normalmente si svolge in presenza. Può essere utile per l’emergenza, ma non per le fasi successive. Lo smart working non può sostituire quello che prevede la Costituzione, all’art. 34. “ La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.”
L’istruzione è obbligatoria e gratuita. Punto. Senza se e senza ma. E se la scuola ai tempi del covid si è dovuta arrangiare e si arrangia fino a giugno, da settembre la soluzione non può essere trovata unicamente nella didattica a distanza, seppure intervallata da lezioni in presenza.
Nel dettato costituzionale, riportato al 2020, c’è scritto tra le righe che non si può non garantire istruzione libera e gratuita a Marco che vive nella periferia di una grande città, oppure in una zona rurale, o non raggiunta da connessione adeguata. Non si può non garantire a Laura, che ha i genitori (per fortuna) entrambi al lavoro, l’istruzione libera e gratuita, perché a casa nessuno le accende il computer connettendola dalle 9 alle 12 con la sua classe prima primaria (non pretenderemo vero che gli alunni della scuola primaria stiano a casa da soli davanti ad un computer a sei anni, vero?)
La scuola non è un luogo di lavoro come gli altri. Nella scuola i destinatari del lavoro sono parte integrante, indivisibile da coloro che lavorano per loro. E lo sono anche le famiglie, primo interlocutore, interlocutore privilegiato, a volte fin troppo, ma comunque imprescindibile. Cosa raccontiamo quindi alle famiglie ? Che la scuola sarà a “mezzo servizio”, perché di questo si tratta ! Un servizio incompleto e parziale, che graverà pesantemente in termini economici e di organizzazione su di loro, invece di dar loro sollievo e supporto in questa situazione davvero pesante.
Le famiglie devono fin d’ora sapere che dovranno organizzarsi con device adeguati (speriamo forniti dalle scuole, come successo in tanti istituti in Italia) e baby sitter/nonni/vicini di casa digitalmente alfabetizzati in grado di supportare i piccoli alunni 3.0, connessioni internet con un minimo di stabilità e di giga disponibili (qui chi paga??? Mah, povera Costituzione, si sono scordati di te!).
Sull’altro lato (ma non opposto), gli insegnanti. Tutti, indipendentemente dall’età e dall’anzianità di servizio, devono sapere fin d’ora che dovranno organizzarsi. E se forse un pc ce l’hanno più o meno tutti (ma non è così scontato, i docenti precari non hanno accesso al bonus), è necessario che sia adeguato al compito che li aspetta, è necessaria la formazione per la didattica a distanza, sono necessari anche nuovi doveri a cui però devono corrispondere pari diritti. Diritto alla disconnessione, diritto ad avere una vita con il device spento, diritto ad avere un orario di lavoro pianificato, anche con una punta di elasticità, certo, ma che non può e non deve essere una connessione ( o una disponibilità ad essere connessi) H24.
Bene, una volta armati di tutto questo, si entra in classe (praticamente saltando i corridoi, per il pericolo di assembramenti), si controlla che tutti abbiano le mascherine e che la distanza sociale sia rispettata e poi si parte. Già.. si parte. La scuola è cablata? Ogni aula ha le dotazioni necessarie per fare lezione in streaming? Ogni plesso ha una connessione internet che raggiunga comodamente ogni aula e tale da permettere 10, 20, 30 video conferenze in contemporanea senza che il collegamento salti ogni cinque minuti, senza che le gli alunni o gli insegnanti si pietrifichino improvvisamente sullo schermo per poi muoversi di nuovo dopo 10 minuti, proprio quando la spiegazione delle proprietà della moltiplicazione è finita e tocca rifarla da capo? Il docente in cattedra riuscirà a tenere sott’occhio TUTTI gli alunni, controllando contemporaneamente che:
1) Marco in remoto sia riuscito a connettersi
2) Laura in remoto abbia la web cam accesa e il microfono spento
3) Luigino in presenza si tenga la mascherina indossata correttamente
4) Paoletta in presenza sia tornata dal bagno (sperando che al bagno non ci sia nessun altro alunno, altrimenti chi controlla la distanza nei bagni?)
5) Robertino in presenza abbia preso il quaderno giusto
6) Andrea in remoto si sia riconnesso dopo che la linea era caduta
7) Sara in presenza si sente poco bene, ha mal di pancia. A chi tocca chiamare il 118???
E mi fermo qui, ma la lista sarebbe più lunga perché gli alunni tra presenza e remoto sono tanti e il docente uno solo.
A completare il tutto, non dimentichiamoci dei collaboratori scolastici, che avranno (forse) il compito di sanificare i locali dei vari plessi, augurandoci che non debbano comprare di tasca propria (perché questo accade spesso e volentieri) i detergenti idonei….
Il quadro non è roseo né confortante. Lo sarebbe solo se questa situazione paradossale sottintendesse un discorso molto più serio e lungimirante. Occorrerebbe una voce nuova nel mondo della politica, anzi, un coro (perché politica, come ci insegna Aristotele, è l'amministrazione della "polis", luogo che fa di molti un insieme, una "comunità") di voci, per una volta all’unisono, capaci di dare una svolta epocale a questa situazione. Una cosa ci ha insegnato la pandemia. Che ci servono più medici, infermieri, ricercatori che influencer. Che occorre ripartire dalle competenze di base per saper leggere correttamente le notizie e districarsi nella giungla dell’informazione. E tutto questo parte dalla scuola. Libera, gratuita e obbligatoria. E se a settembre avremo classi sdoppiate, avrà senso solo se in parallelo saranno raddoppiati, triplicati, decuplicati gli sforzi per ridare il giusto ruolo all’istruzione, se si rimetterà mano all’edilizia scolastica, progettando edifici adeguati, correttamente posizionati sul territorio, se si garantiranno a tutti condizioni di accesso agevolato all’istruzione, se si investirà in ricerca e specializzazione. Se si ridarà dignità agli insegnanti e si verrà incontro alle famiglie con una vera politica sociale, allora forse tutto avrà più senso.
Altrimenti, non avremo imparato niente.
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