Adesso ci mancano. Gli sguardi furbetti, i facciatosta, i timidoni, gli schietti e simpatici, sono confinati in un cloud al quale noi docenti possiamo accedere in presenza o in remoto. Ma sono lontani. E la relazione educativa, nella scuola dell'emergenza coronavirus e della didattica a distanza, inizia a zoppicare. Da questo rischio dobbiamo guardarci. Il vero virus che può distruggere in un attimo la generazione degli adolescenti, spazzare via opportunità per gli eccellenti e speranze per i più deboli, è proprio la distanza "forzata" tra i loro coetanei e i maestri. Se è bene dare un senso ad un'esperienza così dolorosa per il nostro paese e per la scuola italiana, quel senso va individuato proprio nella possibilità che la relazione educativa torni ad assumere il valore nobile che merita di vedersi riconosciuto.
Forse, nella privazione di questi giorni, certi genitori valuteranno la possibilità di seppellire l'ascia di guerra; certi alunni si vergogneranno di aver sbeffeggiato o addirittura vilipeso l'uomo e la donna che si celano dietro il ruolo del docente severo o eccessivamente arrendevole; certi docenti riscopriranno il senso della propria missione (perché di missione, si tratta) e troveranno nuovi stimoli per riprendere il cammino intrapreso. E ai piani alti non solo la ministra dell'istruzione ma i responsabili tutti del sistema paese si rimboccheranno le maniche per tirare dalle secche la Scuola, unica reale possibilità di riscatto per le prossime generazioni.
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