Un post di Matteo Saudino, docente di storia e filosofia a Torino, scritto a proposito della sperimentazione dei licei brevi sta raccogliendo molti consensi stimolando discussioni e riflessioni in merito molto interessanti. Riportiamo di seguito il testo del post:
In Italia si sa, ogni Ministro dell'Istruzione vuole passare alla storia per aver promosso e attuato una riforma che innovi il sempre vetusto e inadeguato ai tempi sistema scolastico. Dalla scuola dell'autonomia di Berlinguer alla buona scuola dell'alternanza lavorativa di Renzi-Giannini, dalla scuola delle tre I (internet, inglese, impresa) della Moratti alla snella scuola azienda della Gelmini, abbiamo assistito a variopinti tentativi di rendere la scuola italiana del presente e del futuro più moderna ed efficiente, nonostante essa avesse nel ciclo della primaria e nei licei un punto di forza formativo ammirato in tutto il mondo.
Al di là delle giustificazioni pedagogiche e didattiche, sostenute con zelo dai soliti esperti menestrelli ben retribuiti dal potere, ogni riforma è stata ideata e progettata rigorosamente all'interno di due parametri, uno economico e uno ideologico, entrambi di rigida matrice liberista. Il primo, figlio dell'Europa di Maastricht, consiste nella costante riduzione della spesa pubblica e il secondo nella modernizzazione, in senso competitivo, aziendale e tecnologico, dei processi formativi.
Per realizzare tale progetto era indispensabile superare la scuola italiana del Novecento, la quale, con tutti i suoi limiti, poggiava su un'architettura costituzionale egualitaria e solidaristica finalizzata all'emancipazione della persona.
Ogni riforma, pertanto, ha smantellato, spesso tra l'indifferenza dei cittadini e la complicità dei sindacati confederali, un pezzo di scuola statale con una manovra a tenaglia: da un lato contraendo la spesa per l'istruzione, attraverso la riduzione del personale e il taglio delle discipline, dall'altro cambiando la didattica, considerata troppo frontale e contenutistica.
La scuola negli ultimi 25 anni è stata presentata, dalla classe dirigente italiana all'opinione pubblica, come un costo da ridurre e un'auto vecchia da rottamare e da sostituire con una più smart e cool. In quest'ottica va letto, a mio avviso, il decreto con cui il Ministro Fedeli ha deciso di attuare la sperimentazione del liceo di 4 anni, tanto desiderata e agognata da Gelmini e Aprea.
La riduzione a 4 anni del liceo, infatti, porta con sé un innegabile risparmio per lo stato, ma soprattutto permette al governo di modellare il percorso formativo degli studenti ancora di più sul mercato del lavoro e sulle esigenze delle imprese. Per fare ciò dal Ministero fioccano banalità e bugie a dir poco imbarazzanti del tipo: ci adeguiamo all'Europa (falso, in quanto solo 8 paesi hanno le superiori di 4 anni); il programma non sarà ridotto perché gli studenti faranno in quattro anni quanto gli altri continueranno a fare in cinque (come è possibile? Gli studenti 2.0 sono più intelligenti e veloci oppure sono gli studenti “normali” ad essere tonti e lenti?).
In realtà, il liceo di 4 anni è un'ulteriore tappa di superamento dei quell'idea di scuola democratica ormai incompatibile con la società di mercato che il capitale nazionale e internazionale e i governi, che di quest'ultimo ne curano gli interessi, stanno costruendo per i cittadini del XXI secolo. Serve una scuola veloce che riduca al minimo le conoscenze e il pensiero critico, che sviluppi neutre e asettiche competenze da offrire al mercato del lavoro e che consumi in modo bulimico e compulsivo tecnologia. Nella nuova scuola i contenuti evaporano, i professori si trasformano in preparatori, gli studenti diventano clienti-stagisti e i presidi indossano i panni dei manager. In questa scuola mutante quello che si fa in 5 anni lo si può fare anche in 4 anni, o addirittura in 3.
Studiare, approfondire, leggere, andare a teatro, vedere in modo critico e consapevole film, mostre e musei, discutere e fare i compiti (ORRORE!) sono pratiche secondarie nel nuovo liceo: la centralità è data dall'alternanza scuola-lavoro, dalle certificazioni linguistiche e informatiche, dall'uso delle nuove tecnologie. La scuola veloce, usa e getta, è progettata per la società del consumo e della precarietà: bisogna diplomarsi prima, per andare prima all'università e per essere rapidamente a disposizione del mercato, il quale, come una divinità, deciderà chi è utile e quanto vale e chi, invece, è inutile e marginale. Il liceo di 4 anni è il Groupon della formazione: un rapido assaggio di Dante, Platone, Seneca, Caravaggio, Leopardi, Shakespeare; se ti è piaciuto ci ritorni, altrimenti navigando sul tuo smartphone realizzerai altri e più eccitanti interessi. Il liceo di 4 anni è un vero e proprio furto operato sulle spalle dei giovani; è un furto di futuro, di formazione, di opportunità, di crescita individuale e collettiva.
E come tutti i furti, il liceo di 4 anni, mostra la sua natura intrinsecamente classista, poiché meno scuola significa meno conoscenze, meno opportunità e meno esperienze per i figli delle famiglie più povere, sempre che esse decidano ancora di iscrivere i propri figli in un liceo. Stiamo assistendo ad una mutazione genetica del sistema scolastico statale: scuola precaria per formare lavoratori precari, scuola azienda per educare al mercato, scuola povera di contenuti per formare sudditi consumatori, scuola show per preparare alla società dei talent, scuola dell'alternanza lavorativa per tenere bassi i salari, scuola snella per una società veloce e superficiale, scuola delle competenze per svuotare i contenuti e la creatività, scuola degli invalsi per una società di quiz, scuola dei bignami per una cittadinanza priva di spirito critico. Il progetto è ormai chiaro da anni e chi vuole un altro tipo di scuola e di formazione pubblica deve armarsi di pazienza e volontà e, come Sisifo, continuare tenacemente ad opporsi a questa tirannia della mercificazione del sapere e del vite, che a differenza delle altre forme di autoritarismo è molto più subdola, è come un veleno che, iniettato quotidianamente a piccole dosi, ti fa morire senza che la maggioranza degli uomini e delle donne se ne accorga. Il neo-potere democratico-autoritario sa presentarti la corda con cui impiccarti come se fosse una cravatta da indossare per andare ad una festa. Meno scuola, meno latino, meno matematica, meno compiti, più stage, meno anni di studio, programmi ridotti, materie tagliate, prima all'università, prima nel mondo del lavoro, prima con un guadagno: ecco la mela rossa, luccicante, ma avvelenata offerta agli studenti e alle famiglie in un'epoca di crisi.
Oggi, in una società sempre più liquida e ingiusta, la via da percorrere, invece, è quella diametralmente opposta: serve più scuola, più didattica laboratoriale, più sport, più tempo per studiare, per leggere, per confrontarsi, per conoscersi, per sviluppare capacità critiche, per fare esperienze. Roma non fu costruita in un giorno e allora non si capisce perché togliendo più tempo alla scuola le nostre ragazze e i nostri ragazzi dovrebbero crescere più sani e robusti intellettualmente. Se tolgo una torta dal forno venti minuti prima o la faccio cuocere rapidamente a 300 gradi, essa difficilmente sarà più buona. Così vale per tutti i percorsi di crescita e formazione umana, improntati alla libertà e alla dignità. Un albero per crescere necessità di tempo. L'anatroccolo per diventare cigno necessita di tempo.
La terra per dare i frutti ha bisogno di tempo. Viaggiare e scoprire il mondo richiedono tempo. La bellezza necessita di tempo. Per essere felici ci vuole tempo. La velocità è nemica della qualità della vita. Il potere che ruba il tempo che serve per crescere e formarsi, promettendo tempo per lavorare, guadagnare e consumare, è nemico delle persone.
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