Arriva l'ok al primo via libera del Consiglio dei ministri a cinque decreti attuativi della riforma sulla Pubblica amministrazione firmati Marianna Madia. Tra le novità principali il nuovo Testo Unico sul pubblico impiego, accompagnato dalla revisione del sistema di valutazione.
Secondo quanto si apprende, è confermata la reintegra, come nel 'vecchio' articolo 18, definendo così la questione dopo le novità delle legge Fornero e del Jobs act. Su un aspetto però ci sia allinea al tetto massimo del privato: il risarcimento non potrà infatti superare le 24 mensilità.
Per quanto riguarda il comparto scuola, i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, hanno commentato: con l'approvazione in Consiglio dei ministri del Testo Unico del pubblico impiego si è conclusa una prima fase. Ora chiediamo alla ministra Madia di proseguire al più presto il confronto per completare quelle parti che abbiamo ritenuto insufficienti perché siamo convinti della scelta di puntare sulla contrattazione e su nuove relazioni sindacali. Era questo il cuore dell'accordo del 30 novembre su cui si era impegnato il Governo. Per iniziare realmente la fase dei rinnovi dei contratti pubblici chiediamo al Governo di inviare immediatamente la direttiva all'Aran, come già annunciato dalla ministra Madia, in modo che si possano avviare le trattative per la definizione dei contratti di circa tre milioni di lavoratori pubblici. Condividiamo alcuni obiettivi come l'avvio del superamento del precariato, lo sblocco della contrattazione di secondo livello, l'inizio del riequilibrio fra legge e contratto ed una prima apertura sulle materie da devolvere alla contrattazione.
Marianna Madia, ha dichiarato in conferenza stampa: oggi completiamo l'iter della riforma della pubblica amministrazione; il primo punto importante del Testo unico del pubblico impiego, approvato oggi dal Cdm, riguarda il reclutamento.
Con questo decreto ristabiliamo dei principi di mancata giustizia che ci sono stati nel passato e proviamo a dare delle prospettive di giustizia per chi oggi vuole lavorare nella P.a.In questi anni non si sono fatti concorsi per esigenze legittime dovute alla fase economica ma questo ha determinato che molto spesso nelle P.a. si sono trovate persone che, su funzioni ordinarie, hanno avuto contratti reiterati di anno in anno e alla fine sono finite per trovarsi in situazioni di precariato strutturale. Nel decreto c'è una soluzione generale che consente alle amministrazioni di assumere chi ha già fatto concorsi o di programmare concorsi con delle riserve per assumere persone non su esigenze straordinarie ma su esigenze ordinarie, su fabbisogni necessari per buona funzionalità delle amministrazioni.
Ora la Madia si dice pronta a dare la direttiva all'Aran per il percorso formale per riaprire la stagione contrattuale ferma da diversi anni, dichiarando che l'approvazione del Testo unico del pubblico impiego è il miglior biglietto da visita, la testimonianza che noi il contratto vogliamo chiuderlo, firmarlo. Anche se ha aggiunto che manca un altro stanziamento per il nuovo contratto ai dipendenti pubblici.
Per Marcello Pacifico Presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, nella scuola ci sono 3 precari su 4 della P.a. Nella scuola, c'è infatti oltre il 75% del precariato della pubblica amministrazione italiana (a fronte di 202.317 dipendenti non di ruolo, nel 2015, ancora ben 141.996 risultavano docenti e Ata); questo diventa l’unico comparto dove i precari di lungo corso dal 2019 anziché essere stabilizzati, perché hanno superato i tre anni di servizio, come indicato dall’UE e ribadito dalla curia di Lussemburgo, verranno ricacciati all’indietro: l’unico modo per lavorare, se vorranno svolgere questo mestiere, sarà quello di vincere il concorso (ma la strada è lunga perché per costoro c’è da attendere almeno sette anni) oppure tornare a svolgere le supplenze di breve durata. In base a quanto riportato dalla Ragioneria Generale dello Stato, appena qualche settimana fa, il lavoro “flessibile” nella scuola, oltre che ai supplenti e tempo determinato e la formazione lavoro, rappresentano ancora il 15,1% del totale dei dipendenti a tempo indeterminato, per una spesa per i precari che sfiora mezzo miliardo di euro (478,7 milioni). Una bella fetta, nota il Mef, di un sistema istruzione che costa all’erario 40,1 miliardi di euro. Il tutto per continuare ad avere ancora due milioni e mezzo di alunni (quasi il 40 per cento) che hanno cambiato insegnante in pochi mesi, come avvenuto quest’anno. Il punto è che nella scuola ci sono più di 100mila posti vacanti, più altri 35mila per gli Ata, come indicato correttamente dal Mef. Viene allora da chiedersi come mai lo Stato non abbia provveduto a creare una modalità di assorbimento graduale dei tanti docenti abilitati che hanno svolto già 36 mesi di servizio. E anche dei collaboratori scolastici, amministrativi e tecnici che hanno oltrepassato la soglia, in possesso dei titoli d’accesso. Ora, addirittura, con la Legge 107 si è capovolto il senso della norma imposta dall’Unione Europea: anziché assumerli a titolo definitivo, questi lavoratori si respingono. La strada da percorre è una sola ed è stata indicata chiaramente nei giorni scorsi in Parlamento, attraverso le audizioni del sindacato svolte davanti alle commissioni parlamentari di Palazzo Madama e della Camera dei deputati: la fase transitoria, che porta al 2024, deve necessariamente prevedere l’utilizzo, per le nuove immissioni in ruolo, di tutte le graduatorie di Merito non esaurite e l’inserimento dei candidati risultati o che risulteranno idonei al termine del concorso a cattedra.
Bozza del testo unico pubblico impiego