La lettera dei 600 docenti universitari, da titolo Saper leggere e scrivere: una proposta contro il declino dell’italiano a scuola, denuncia il fatto che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivano male, mostrino gravi carenze linguistiche e non possiedano “le competenze di base, fondamentali per tutti gli ambiti disciplinari”.

L’autorevolezza dei firmatari ha contribuito a darle grande risonanza sui media. E tuttavia il contenuto della lettera, se non meditato e ripensato in relazione alla complessità che merita un discorso su tale argomento, rischia di aggiungersi al coro di chi indica tout court nella scuola, e solo nella scuola (è nominata già nel titolo), la causa di una insufficiente preparazione culturale dei nostri ragazzi.

La situazione della cultura italiana è da tempo sotto gli occhi di tutti. È noto che gli italiani che leggono almeno un libro all’anno – ultimi dati Istat 2016 –  sono scesi al 40,5% (segno che il 59,5% non legge libri), come sono noti i dati delle indagini Ocse Pisa 2015 che registrano ritardi nella cultura generale dei nostri studenti (la situazione dell’Italia è al di sotto della media Ocse e si distacca nettamente non solo dai paesi del Nord Europa ma anche da Spagna e Portogallo). Come d’altra parte è noto – non ci piacciono le generalizzazioni – che i nostri ricercatori sono bene accolti all’estero, perché quando hanno disponibilità di mezzi e di fondi ottengono più che notevoli risultati nella ricerca. Quindi da un lato le eccellenze, dall’altro un sistema formativo, dalla scuola dell’infanzia all’università compresa, che purtroppo non risulta del tutto al passo con lo sviluppo di un paese industrializzato come il nostro. La situazione è stata più volte denunciata nei nostri convegni, in alcuni casi con la partecipazione di Tullio De Mauro che ha dedicato, accanto alla ricerca universitaria, una buona parte della sua vita alla scuola, alla didattica, a una divulgazione culturale capace di dare a tutti gli usi della parola a tutti.

Purtroppo, la lettera dei 600 non ci dice nulla di nuovo nei contenuti, ci sorprende se mai nel tono con cui si rivolge alla scuola e soprattutto alle indicazioni che vuole offrire alla scuola stessa: verifiche periodiche (tramite i test? Come per esempio l'Invalsi?), revisione delle indicazioni nazionali, controllo dei gradi superiori su quelli inferiori (la media sulle elementari, le superiori sulle medie, l’università sulle superiori). Davvero, ci dispiace dirlo, una seminagione di cose di senso comune. Altro ci saremmo aspettati da un così considerevole numero di autorevoli rappresentanti della cultura, anche se forse su un punto ci sentiamo vicini alla lettera dei 600: anche noi non vogliamo l’ignoranza.

La domanda da farsi allora è questa, chi porta la responsabilità dei fatti denunciati? Secondo noi, che ci occupiamo quotidianamente di scuola università e ricerca, la risposta è chiara: una politica ormai ventennale dell’istruzione sbagliata e depressiva fatta di illusorie riforme “epocali”, tagli indiscriminati di risorse umane e finanziarie (solo negli anni 2008-2011 ben 8 miliardi di tagli e 120.000 unità di personale in meno), disinvestimento, concorsi non fatti per anni e proliferazione del precariato a danno della continuità didattica, sovraccarico di funzioni a fronte di una società delegante (immigrazione, bullismo, crisi della famiglia, degrado del senso civico, crisi economica, ecc.), una università non messa nelle condizioni di supportare adeguatamente la preparazione del corpo docente, una politica di istruzione degli adulti praticamente inesistente…

Dimenticavamo: dal 2009 agli insegnanti (e al personal Ata) non viene rinnovato il Contratto e ciò vuol dire la perdita media di 220 euro di potere di acquisto. Capiamo che parlare del vil denaro non è elegante. Ma tutto ciò denuncia la scarsa considerazione in cui viene tenuta la scuola e ci vuole forza per non perdere gli entusiasmi!

Alla scuola, come a tutto il mondo del lavoro pubblico, ci si rivolge sempre quando le cose vanno male (valga per tutti l’esemplare intervento dei settori pubblici nelle tragiche vicende del terremoto nel centro Italia). E va detto che la scuola, nonostante la continua denigrazione a cui viene sottoposta, continua a far muro contro il dilagare dell’incultura seminata da una società che ormai identifica solo nel mercato il punto generatore dei valori del nostro tempo.

Ci auguriamo tuttavia che un'iniziativa come questa dei seicento docenti possa contribuire ad aprire un serio dibattito pubblico su temi tanto delicati come quelli linguistici, di scrittura e di lettura. E non vorremmo che dopo che ognuno ha detto la sua tutto venisse dimenticato: noi siamo in molti a credere in un sistema formativo valido ed efficiente, ricco di valori e di motivazioni, ma se ogni tanto qualcuno parla e poi scompare non ci incoraggia. Il nostro Paese non ha più bisogno di parole, ma di atti concreti e di persone che abbiano davvero intenzione di impegnarsi.

 

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