“Ogni perfezione di struttura è vana (…) se i professori sono scelti con metodi non buoni”. Confesso di non stancarmi nel rileggere le prediche, tanto inutili, ma quanto di buon senso, di Luigi Einaudi sulla scuola. Oggi quell’ammonimento sembra predestinato a risuonare, strattonato da destra e da sinistra, brandito come una clava, stante la volontà del ministro Carrozza di procedere a una “revisione” del reclutamento dei docenti attraverso la delega a un decreto legislativo, i cui contenuti sono stati anticipati da Orizzonte Scuola. Visto che il testo non è ancora stato licenziato dal consiglio dei ministri, vorrei fare un paio di considerazioni preliminari di metodo giuridico e politico.
Innanzitutto, occorre stare molto attenti a come si scrive la delega. Perché poi sono dolori, visto che sui decreti legislativi è previsto il parere del Consiglio di Stato, in materia tutt’altro che “di bocca buona”.
Proprio su abilitazione e reclutamento, l’allora Ministro Letizia Moratti si vide ridurre il Dlgs 227/2006 (poi abrogato da Fioroni) a un moncherino, come si evince dalle differenze tra il testo approvato in prima lettura e il testo definitivo, limitato alle sole procedure di abilitazione e costretto a riconfermare (art. 1, comma 5) la procedura del doppio canale (graduatorie permanenti; concorso per titoli ed esami), rispetto alla versione approvata inizialmente dal Consiglio dei Ministri che arieggiava per l’appunto, attraverso l’anno di applicazione all’insegnamento, il corso-concorso (art. 5).
Il precedente è importante, e sarebbe saggio verificare quali furono gli (insormontabili, come spiegherò oltre) ostacoli tecnico-giuridici che impedirono quell’approdo, pur stabilito nelle sue linee essenziali addirittura dalla Legge quadro (legge 53/2003, articolo 5). C’era dunque, alle spalle di quel decreto, una volontà inequivocabile della maggioranza parlamentare e del governo, una legge di riforma complessiva del sistema scuola che dettava criteri precisi per i successivi decreti legislativi, e non un “collegato” alla legge di stabilità di mera semplificazione normativa, cui è stata attaccata una norma di delega su cui darei curioso di conoscere il parere del dipartimento affari legislativi di Palazzo Chigi.
Scrivere, come pare si sia scritto, “semplificazione dell’organizzazione amministrativa e dei procedimenti nelle seguenti materie: 1) riforma organica del reclutamento del personale docente” ecc ecc” introduce una contraddizione. O si semplificano le norme esistenti, o si riforma la disciplina vigente. Contraddizione che può essere risolta in due modi: o si procede a una semplificazione e a una delegificazione del Testo unico (art. 399, 400 e 401), che lasci intatti i principi fondamentali (del resto, a quanto risulta, elencati nella proposta: doppio canale, procedure selettive di abilitazione… “le leggi son”, verrebbe da dire) e si rende snella e attuale la procedura di abilitazione (via i pareri del MEF sui contingenti, per fare un esempio) e quella concorsuale (che non può che essere, in quell’ambito, che “per titoli ed esami); o, se si hanno diverse ambizioni (leggi: corso concorso), si stalcia la lettera e la si inserisce in una norma di legge con criteri precisi, ma non senza compiere una precisa istruttoria sul come e il perché naufragò il Moratti.
La cosa, in realtà, è presto detta: l’articolo 5 si reggeva su una previsione che cozzava sia contro i principi costituzionali, sia contro le norme comunitarie. Introducendo “l’anno di applicazione” post laurea abilitante (laurea con numeri rigidamente programmati - ai sensi dell’articolo 2, comma 3, sul 50% dei posti riservati dal testo unico alle procedure concorsuali per titoli ed esami) propedeutico all’accesso ai ruoli, si impediva di fatto la partecipazione a coloro i quali erano già abilitati, precludedendo loro di esercitare un diritto che gli era riconosciuto dalla normativa (diritto acquisito e legittimo affidamento violati in un colpo solo) e costituzionalmente previsto (partecipazione ai concorsi aperta a chiunque sia in possesso del titolo previsto), e limitando ex post le loro possibilità di accesso ai ruoli allo scorrimento delle graduatorie. Secondo, la norma precludeva di fatto la partecipazione alle procedure ai cittadini dell’UE in possesso di titolo di abilitazione. L’unica possibilità, per queste due categorie, era di consegure per la seconda volta un titolo di laurea magistrale… e non faccio neppure l’elenco dei prnincipi che, in tal modo, sarebbero stati palesemente violati.
Insomma, la rotta (a prescindere da ogni giudizio di merito politico) appare diretta sugli scogli. Ricordo, sul punto, di essermi scontrato (ministro all’epoca era la Gelmini, argomento la prima programmazione del TFA) con un altissimo dirigente, che aveva scambiato il TFA per un corso concorso e che riteneva, per via amministrativa, di poterne stravolgere la natura: ed era arrivato quasi a convincere il ministro, con un’arte suasoria che poco aveva a che fare con le norme in vigore, fatte valere, sull’orlo del baratro, in maniera piuttosto accesa. Non è, infatti, che cambiando il nome dei ministri o il colore della maggioranza possa cambiare la sistematica delle norme. Sarebbe paradossalmente più semplice (ripeto: A LIVELLO GIURIDICO. E comunque non senza intoppi) cancellare le GAE e passare agli albi regionali prevedendo concorsi da parte delle scuole, perché sarebbe garantita la parità di condizioni tra gli aventi titolo dell’intero orbe terracqueo.
Seconda considerazione, di metodo politico. Non so se quel testo sia stato in qualche maniera concordato dalla maggioranza delle “larghe intese”. E, se così non fosse, sarebbe un azzardo lasciarlo in balia dei marosi parlamentari (ammesso e non concesso che, in consiglio dei ministri, questa o quella componente non ponga il suo veto). Tanto più che gli ordini del giorno approvati dalla Camera e dal Senato sul famoso articolo 15 del DL 104/2013 contengono, grazie alla formuletta “si invita il governo a valutare l’opportunità di…”, alcune istanze comuni, ma anche posizioni divaricanti.
In tutto questo, il rischio evidente è che per l’ennesima volta (destra, centro, sinistra, è indifferente) si persegua un progetto di riforma dall’incerto futuro, senza affidarsi comunque, nell’immediato, alle norme pienamente vigenti. Vittime predestinate (inconsapevolmente, credo e spero), i laureati che attendono di potersi abilitare e gli abilitati che attendono un concorso.