Ilaria Sbressa, l'imprenditrice al centro della vicenda dei prodotti audiovisivi per bambini che costavano mille euro ma il Miur comprava a 39mila, accusata di concorso in bancarotta. Ai domiciliari anche il direttore relazioni istituzionali di Mediaset
Le “pillole del sapere” non insegnano a evitare guai con la giustizia. Si torna a parlare di Ilaria Sbressa, tosta quarantenne milanese che un anno fa è finita alla ribalta delle cronache per la vicenda dei prodotti audiovisivi acquistati a peso d’oro dal Miur e oggetto di una celebre inchiesta di Report. La notizia è che la carriera rampante dell’imprenditrice ha subito oggi un’improvviso stop: è stata posta agli arresti domiciliari insieme al marito, Andrea Ambrogetti - direttore relazioni istituzionali di Mediaset, tra i più stretti collaboratori di Fedele Confalonieri - e due commercialisti romani, un avvocato e la sorella di lei. Il Biscione e Berlusconi non c’entrano, la faccenda è legata al fallimento per bancarotta della società “Interattiva Srl” per la quale il giudice Natalia Imarisio, su richiesta del pm Bruna Alberti, aveva ordinato il sequestro preventivo di quote di altre quattro società del gruppo. Nelle indagini del pm e della Gdf, Ilaria Sbressa era indagata come legale rappresentante della società fallita, la sorella Alessandra “quale agevolatrice delle condotte” e appunto Ambrogetti come amministratore di fatto e coadiutore della moglie nonché “utilizzatore per scopi personali delle risorse finanziarie della società”. Nel mirino della Procura alcune controverse alienazioni di partecipazioni societarie per 1,5 milioni di euro, e prelievi di contanti allo sportello per 405 mila euro tra l’8 gennaio 2008 e il 27 aprile 2009.
Una caduta verticale dall’olimpo dei tempi d’oro, quando a caldeggiare finanziamenti per la sua emettente Abc, tv fantasma della pubblica amministrazione, pensavano direttamente il braccio destro di Massimo Ponzellini e l’ex ministro Paolo Romani. Con ottimi risultati, per altro, visto che la società ottenne il carburante per proporsi agli uffici del Miur e Anffas con un progetto da 5 milioni di euro. Le famose “pillole del sapere”, prodotti audiovideo destinate alla didattica dei bambini. La manna finì dopo le prime 12 puntate, quando Report mandò in onda una ricostruzione della vicenda da cui emergevano chiaramente la scarsa qualità dei prodotti e l’incomprensibile prezzo cui venivano acquistati, per altro come ultimo atto dell’era Gelmini, con un piede ormai fuori dalla porta.
Il Miur, venne fuori, aveva comprato per 1,3 milioni di euro una serie di prodotti, tra cui una dozzina di clip da tre minuti ciascuna, in cui si insegnavano varie amenità, ad esempio come funziona un semaforo, i gesti del vigile etc. Furono i dipendenti della stessa società, senza stipendio da due mesi all’epoca e alcuni licenziati, a rivelare quanto fosse distante il costo di produzione rispetto a quello di acquisto. Le immagini, ad esempio, erano solitamente scaricate da internet e il montaggio arrangiato in modo domestico. Ma al Miur, chissà perché, è sembrato fossero prodotti indispensabili e sofisticati. E infatti le ha pagate 39mila euro ciascuna, 520mila euro in tutto. Il resto, per arrivare al milione e tre di cui sopra, era fatto di talk-show da 20 minuti con domande e risposte come quella sulla piramide alimentare. Nessuna ha fatto scuola.