E' Patrizio Bianchi il nuovo Ministro dell'Istruzione indicato dal neopresidente incaricato Mario Draghi. Laureato in Scienze Politiche con Lode all’Università di Bologna, il neo ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi è professore ordinario di Economia applicata e titolare della Cattedra Unesco in Educazione, crescita ed eguaglianza presso l’Università di Ferrara, la stessa nella quale fino al 2010 ha ricoperto il ruolo di rettore. Dopo la laurea nel 1976 ha perfezionato i suoi studi presso la London School of Economics con il Professor Basil Yamey. Ha firmato numerosi saggi sul mondo della scuola con la casa editrice Mulino. Tra gli ultimi titoli, uno dedicato proprio alla scuola: “Nello specchio della scuola” di recente pubblicazione in cui spiega che l’Italia è il paese d’Europa con i più bassi livelli di istruzione, i più alti tassi di dispersione scolastica e il più alto numero di NEET. L’Italia è anche il paese che è cresciuto meno negli ultimi venti anni e si è presentato all’appuntamento con la pandemia con un tasso di crescita annuale dello 0,3 per cento su base nazionale.
Ragioni per cui, per Patrizio Bianchi, un ritorno alla normalità pre-covid non può e non deve più bastare. “Non possiamo accontentarci di tornare alla situazione precedente, ma diviene ormai indifferibile avviare una vera fase costituente per la scuola, per aprire una nuova stagione in cui la scuola torni a essere, o meglio divenga, il motore di una crescita di un paese che da troppo tempo è bloccato”.
Di area prodiana, Bianchi è stato rettore dell’Università di Ferrara fino al 2010 e poi assessore a Scuola, Università e Lavoro in Regione Emilia-Romagna per due mandati, con i presidenti Errani e Bonaccini. E’ direttore scientifico dell’Ifab – Fondazione Internazionale Big Data e Intelligenza Artificiale per lo Sviluppo Umano.
Con il libro Nello Specchio della Scuola, Il Mulino 2020, Patrizio Bianchi non solo traccia un quadro generale, anche storico, del rapporto scuola-società, ma prospetta un sistema di riforme organiche in gran parte coincidenti con quelle formulate dal Comitato da lui diretto come coordinatore degli esperti nominati dalla ex ministra Azzolina per affrontare l'emergenza covid. In una recentissima intervista pubblicata sulla rivista "educationduepuntozero" diretta da Luigi Berlinguer, ha delineato chiaramente il suo pensiero in merito al futuro della scuola, evidenziando i punti su cui quasi sicuramente, da neoministro dell'Istruzione, porrà l'azione riformatrice del suo dicastero. Ne riportiamo di seguito integralmente l'interessante intervista a cura di Mario Fierli in cui affronta diverse questioni in quello che a tutti gli effetti sembra essere un manifesto del suo pensiero e delle prossime riforme che a breve potrebbero interessare la scuola passando per il superamento dell'emergenza covid-19, il rilancio dell'autonomia scolastica, la rimodulazione delle materie e la riforma dei curricoli, l'adozione di un modello tedesco (ma anche scandinavo) con un percorso ‘accademico’ (Licei in particolare) ridotto a 4 anni e un percorso professionalizzante, che parta dalla prima qualifica a 16 anni fino al sistema postsecondario/terziario degli Istituti Tecnici Superiori (ITS).
D:L’epidemia del COVID19 ha reso evidenti e aggravato le debolezze e le disfunzioni del sistema scolastico. Pensare alla ‘Next Generation’ significa però non solo restaurare, ma promuovere un sistema organico di riforme. Perché è necessario?
La scuola è il pilastro dello sviluppo; lo sviluppo è conoscenza, ma conoscenza diffusa, partecipata, e inclusiva e solo una scuola aperta, democratica e pienamente inclusiva può garantire una base per una crescita che coinvolga l’intero Paese, l’intera società. Chi non investe in educazione si condanna alla stagnazione perpetua, e purtroppo è il caso dell’Italia di questi ultimi anni a richiamarci a questo duro monito. Pensare alla scuola per le Next Generations significa non accontentarci più della situazione preesistente, un’Italia che lasciava indietro troppe persone, troppi giovani. e quindi non aveva le forze intellettuali, competenti e sufficienti per sostenere un grande disegno di rilancio, oltre la palude della stagnazione, oltre il Covid e oltre le nostre paure.
D:Il suo libro colloca il problema della scuola e della sua funzione nel contesto sociale ed economico sia storicamente sia in prospettiva. La scuola ha una gamma di finalità tutte irrinunciabili, ma da o integrare. Lei le riassume nel suo schema della “la rosa dei venti” . Perché, contrariamente a certe opinioni, lo sviluppo della persona e lo sviluppo economico non sono incompatibili?
RISPOSTA: Le quattro storiche missioni della scuola – preparazione delle classi dirigenti, le leadership, lo sviluppo della persona e della comunità nel suo insieme, la predisposizione per uno sviluppo umano e inclusivo – oggi più che mai sono parte integrante di una visione dello sviluppo economico che richiede persone pienamente consapevoli di sé stesse e capaci di partecipare alla vita collettiva della nostra comunità nazionale ed europea. Non solo non vi è contraddizione fra sviluppo della persona – della coscienza di sé stessi, della conoscenza di sé stessi – e uno sviluppo che sempre più richiede persone aventi visione del futuro e capacità di fare comunità .
D: Dal punto di vista del governo della scuola le ritiene una scelta strategica il rilancio dell’autonomia, promossa da Luigi Berlinguer alla fine del secolo scorso, ma in buona parte disattesa. Perchè non è solo un problema amministrativo, ma di politica generale?
RL’articolo 21 della Legge 59/1997 delineava un’autonomia scolastica come parte integrante, direi fondante, di un rinnovamento profondo della società italiana in previsione di cambiamenti epocali, come l’entrata fin da subito nella moneta unica e la globalizzazione dell’economia italiana ed europea. Una trasformazione profonda della società italiana che in realtà richiedeva massicci investimenti in educazione, in particolare dopo la crisi del 2009-2011, crisi della illusione nefasta che si potesse avere una crescita centrata sulla speculazione finanziaria, senza porre il lavoro al centro di un nuovo ordine mondiale. Proprio in quegli anni cruciali il nostro Paese ha vissuto la drammatica crisi fiscale dello Stato e quindi il rischio di un default, a cui si è reagito con un drastico taglio della spesa pubblica, colpendo proprio l’istruzione e la ricerca. Come esito siamo giunti impreparati a questa vicenda Covid, che ha messo in evidenza i ritardi digitali delle nostre persone. Riaprire il cantiere Autonomia scolastica oggi vuol dire più che mai riaprire il dialogo con il territorio attraverso Patti educativi di comunità, che ristabiliscano la passione collettiva di una comunità per la propria scuola e nel contempo la partecipazione e condivisione di una scuola che venga vista come luogo dell’integrazione e dell’inclusione sociale come base di un nuovo sviluppo.
D: Nel discutere dell’assetto generale della scuole e in particolare della secondaria superiore lei sostiene la necessità di scegliere un modello ‘tedesco’ (ma anche scandinavo): il parallelismo fra un percorso ‘accademico’(Licei in particolare) ridotto a 4 anni e un percorso professionalizzante, che parta dalla prima qualifica a 16 anni fino al sistema postsecondario/terziario degli Istituti Tecnici Superiori (ITS), che lei propone di rinominare Istituti Superiori di Tecnologie Applicate. Come deve essere ridisegnato questo secondo percorso?
RISPOSTA: nella mia esperienza di Assessore a scuola, formazione e lavoro della Regione Emilia-Romagna ho visto nella formazione professionale una leva necessaria per ridurre la dispersione, dando a ognuno un’opportunità, ma essenziale per uno sviluppo ampio e inclusivo. D’altra parte questa offerta è distribuita in modo ineguale in Italia, e in particolare proprio in quelle regioni in cui più ve ne sarebbe più necessità. Per questo un Piano nazionale che riprenda l’attenzione per l’intero comparto tecnico e professionale, fino all’ITS, che deve essere riconosciuto come perno di una crescita tale da coinvolgere l’intero Paese. In questo piano le tematiche sono chiare: 1) Il rapporto tra istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale, costruendo percorsi personalizzati che possano –con dovuto accompagnamento e orientamento – portare i ragazzi verso esperienze d’inserimento lavorativo, necessarie per lo sviluppo delle stesse imprese; 2) un deciso rilancio degli ITS, con un obiettivo di almeno 150 mila iscritti in 5 anni; 3) un ridisegno del rapporto fra Stato e Regioni, anche con confini variabili in ragione delle effettive disponibilità e capacità delle Regioni per costruire una rete nazionale di formazione, che permetta di costituire un’infrastruttura necessaria per la crescita di tutti.
Gli ITS dovrebbero dunque diventare il vero punto forte della formazione specialistica non accademica. Ma siamo ben lontano da questo: come arrivarci?
Gli ITS sono stati un’intuizione importante, che tuttavia non è stata finora colta in tutta la sua rilevanza, mantenendoci lontani dai risultati raggiunti in altri Paesi. Tuttavia è ora di realizzare un salto di qualità e quantità in un’offerta didattica che si sta dimostrando molto articolata e diversificata sul territorio nazionale. Considerando la natura degli ITS – fondazione di diritto privato con partecipanti pubblici e privati – vi sono tre questioni da sviluppare: 1) il personale, 2) le strutture e il finanziamento, 3) il valore del titolo e il coordinamento nazionale, trovando il referente nel governo, ora che il MIUR è stato separato nuovamente. Dopo 10 anni è ora di darsi obiettivi di sistema e presentare a tutto il Paese questa come un’offerta strutturata e a disposizione di tutti i ragazzi del Paese.
D: Una conseguenza del mancato sviluppo dell’autonomia è l’assoluta rigidità della struttura curricolare. Non ci sono pratiche, comuni in molti sistemi scolastici, come la modulazione delle discipline, la possibilità di scelte in itinere degli studenti, tutte concentrate nella iniziale scelta del tipo di scuola, lo sviluppo organico di collegamenti fra didattica scolastica e il contesto esterno. Quale strategia seguire per un sistema più aperto, dinamico, culturalmente forte?
In questi anni sono state sviluppate moltissime esperienze avanzate, che però non sono diventate patrimonio comune del Paese. In questo autonomia, patti territoriali di comunità e innovazione curricolare sono temi fra loro strettamente legati. Su questi contenuti ricordo la proposta avanzata dal Comitato degli esperti del Ministero dell’Istruzione, che ha consegnato il proprio documento finale lo scorso 13 luglio, che prevedeva proprio come la rimodulazione delle discipline e il rapporto con l’esterno passasse per una forte tensione verso la costruzione di comunità aperte, inclusive e dinamiche, in particolare attraverso ‘materie’ che potremmo definire CAMPUS, quindi Computer/coding, arte e musica, ‘public life’, e sport inteso come educazione alla conoscenza del proprio corpo. Tuttavia il perno resta l’autonomia scolastica e l’enfasi che autonomia non significa abbandonare ognuno a se stesso ma il suo contrario, cioè la definizione di obiettivi nazionali da raggiungere da parte di tutti i ragazzi del nostro Paese, offrendo nel contempo a ognuno gli strumenti e le risorse per poterli raggiungere, come base di una democrazia matura che vuole dare a ognuno il modo per realizzare se stesso e per partecipare attivamente alla vita della comunità. Questo è il momento del coraggio e della lungimiranza: solo guardando lontano si può uscire dall’emergenza e solo pensando alle nuove generazioni possiamo avere la forza per spingere noi stessi oltre al cammino finora seguito.
D: Il problema della digitalizzazione è da lei esaminato sia come una rivisitazione della didattica, sia come un problema cruciale di competenze presenti nella società. Cita una impressionante tabella del documento della Commissione europea sulla Digital Economy and Society Index, che rivela come l’Italia sia l’ultimo Paese in Europa per la disponibilità di competenze adeguate alla società della comunicazione. È un grande problema: come affrontarlo?
Siamo giunti in ritardo all’appuntamento con il Covid, che ci ha costretto a dimostrare la nostra maturità nell’uso di tutti gli strumenti digitali. In realtà abbiamo capito che tutto il Paese era in arretrato sul passo della storia e stiamo capendo che la dotazione di competenze di cui oggi disponiamo non è adeguata a sostenere un nuovo sviluppo umano, sostenibile sia dal punto di vista ambientale che sociale. Per questo bisogna affrontare con coraggio questa nuova fase con un grande piano nazionale per affrontare le vecchie e nuove povertà educative del Paese, utilizzando tutti gli strumenti che il nostro tempo pone a nostra disposizione, ampliando la nostra capacità di comprendere questo mondo mai così complesso, ma soprattutto proponendoci come costruttori di comunità in questa fase così incerta e conflittuale.
Quin il link all'intervista citata e di seguito il curriculum del neoministro Patrizio Bianchi:
Un curriculum denso quello di Patrizio Bianchi, neo ministro all'Istruzione, in cui l'indubbio spessore accademico incrocia anche l'impegno amministrativo. Bianchi è stato assessore a scuola, università e lavoro della Regione Emilia-Romagna e di recente ha guidato la task force di esperti, voluta dalla ministra dell'Istruzione uscente Lucia Azzolina, per pianificare tempi e modi della ripartenza delle scuole durante la pandemia da coronavirus. Nato a Copparo (Ferrara), 68 anni, Bianchi è sposato con Laura Tabarini e ha due figli, Lorenzo e Antonio. È professore ordinario di economia applicata all'Università di Ferrara e titolare della cattedra Unesco 'Educazione, crescita e uguaglianza'. Si è laureato all'Università di Bologna con Romano Prodi, a cui è legato da un'amicizia di lunga data, e ha seguito un percorso di specializzazione alla London School of Economics and Political Sciences in Economia e politica industriale. Ha insegnato negli atenei di Trento, Udine e Bologna, dove è tornato come ordinario di politica economica nel 1991. Nel 1998 ha fondato la Facoltà di Economia dell'Università di Ferrara, è stato rettore dell'ateneo della città estense fino al 2010 e ha guidato la Fondazione della Conferenza dei rettori delle università italiane. Per due mandati ha ricoperto l'incarico di assessore della Regione Emilia-Romagna a scuola, università e lavoro gestendo anche la ripartenza delle attività didattiche dopo il terremoto del 2012, coordinando il Patto per il lavoro per lo sviluppo della Regione e dirigendo le attività per la progettazione e l'attivazione del Tecnopolo di Bologna, sede del centro dell'Agenzia europea per le previsioni meteo e del Centro europeo di supercalcolo scientifico. Dal gennaio 2020 è direttore scientifico della Fondazione internazionale Big Data e intelligenza artificiale per lo sviluppo umano.