Al vaglio del Governo, nei prossimi giorni, sembra esserci l’ipotesi di mettere mano alla legge Fornero. La ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo (Movimento 5 Stelle), ha affermato sui social che una delle priorità massime è dare all’Italia un sistema pensionistico più equo e flessibile. E a conclusione afferma: “l’obiettivo è superare la legge Fornero, come lo decideremo sulla base dei dati e di uno studio concreto e reale”.
Per questo motivo i sindacati sono stati convocati al ministero del Lavoro lunedì 27 gennaio allo scopo di riprendere il confronto sulla riforma delle pensioni.
Con la legge di Bilancio sono state istituite due commissioni:
- la prima commissione dovrà valutare la gravosità dei lavori al fine di individuare le professionalità che consentono di essere collocati in pensione anticipatamente;
- la seconda dovrà occuparsi della spesa pensionistica e assistenziale.
A destare interesse e al contempo preoccupazione per i docenti sono i possibili risultati e gli interventi della prima commissione. A tal proposito ricordiamo che attualmente nell’elenco degli undici lavori gravosi troviamo, per quanto concerne il mondo scuola, solo le “maestre di asilo nido/scuola dell’infanzia”. E gli altri docenti? Forse lo stress di un docente di scuola secondaria di primo o secondo grado è inferiore a quello dei docenti di scuola dell’infanzia? Esistono docenti di serie A e docenti di serie B? Sicuramente, dal punto di vista fisico, può ritenersi più gravoso gestire ad esempio una classe di bambini di 2 anni da quella di ragazzi di 11 anni ma lo stress di cui parliamo noi e di cui i docenti rivendicano il riconoscimento nulla ha a che fare con il semplice stress fisico.
Vittorio Lodolo D’Oria, medico che da anni studia lo stress da lavoro correlato degli insegnanti, ha affermato più volte che l’usura psicofisica determinata dalla professione docente non risparmia nessuno e può manifestarsi a differenti età a seconda della propria anamnesi familiare, dei cosiddetti “life event” (separazioni, malattie, lutti, dispiaceri, circostanze particolari etc), delle situazioni fisiologiche contingenti (es. post-partum, menopausa), della propria resilienza, delle abitudini di vita (hobbies, dieta sana, attività fisica o fumo, caffè, alcool) e della strategia di adattamento per contrastare lo stress quali, su tutte, la condivisione del disagio con colleghi e amici. Nonostante i dati denuncino come, tra i docenti dichiarati non idonei all’insegnamento a causa della propria salute, l’80% presenta diagnosi psichiatriche e gravi disturbi per lo più di tipo ansioso-depressivo, a tutt’oggi, a questa categoria di lavoratori non è ancora riconosciuta ufficialmente il burnout come malattia professionale.
Pochi sanno che l’alta usura psicofisica degli insegnanti è data soprattutto dalla particolare tipologia di rapporto con l’utenza (asimmetrico, intergenerazionale, minoritario, costante per più ore al giorno, nove mesi l’anno, per cicli di tre o cinque anni con la medesima utenza).
Quotidianamente, varcata la porta della propria classe, il docente si trova di fronte studenti che lo fissano, lo analizzano, che mettono alla prova sia la propria competenza disciplinare, sia quella relazionale, sia la propria persona in toto: una sorta di scanner quotidiano. Aggiungiamoci pure che il rapporto scuola /famiglia non è più quello di una volta: genitori sempre pronti a difendere i figli e contemporaneamente a giudicare e ad attaccare i docenti sia verbalmente che, nei casi più estremi, anche fisicamente. E poi, la situazione di precarietà lavorativa, lo stipendio nettamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, la mancanza di riconoscimento a livello sociale, lo stress per le quotidiane responsabilità, la mancanza di sostegno da parte di chi, invece, dovrebbe motivarli.
Infine, di non meno importanza, ad aggravare la situazione vi è anche l’età dei docenti.
Questo dipende dal fatto che in Italia siamo passati dalle “baby pensioni” introdotte nel 1973 dal governo di Mariano Rumor (Democrazia Cristiana) con un Dpr destinato ai dipendenti pubblici che si vedevano riconosciuti il diritto alla pensione qualora avessero lavorato per 14 anni 6 mesi e 1 giorno per le donne sposate con figli, 20 anni per gli statali; 25 per i dipendenti degli enti locali, alle ultime disposizioni che prevedono, dal 1° gennaio 2019, l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni.
Ricordiamo comunque che l’età pensionabile ad oggi è soggetta - come disposto dalla Legge Fornero - all’adeguamento con le aspettative di vita rilevate dall’Istat.
Ma allora cosa si può fare? I docenti devono solo sperare che le parole della ministra Catalfo pubblicate sui social abbiano un seguito e che venga presa seriamente in considerazione la proposta dei sindacati ovvero pensionamento anticipato a 62 anni con 20 anni di contributi. L’ex ministra del Lavoro Elsa Fornero ha già dichiarato che “l’Italia ha un enorme debito pubblico e non può permettersi di mandare in pensione le persone a 62 anni in modo generalizzato”. Chi avrà la meglio? Attendiamo fiduciosi l’esito dell’incontro di lunedì prossimo.
Nel frattempo ricordiamo che è possibile presentare la domanda per la pensione anticipata opzione donne (occorre aver raggiunto lo scorso anno 58 anni d’età e 35 anni di contributi) entro il 28 febbraio 2020. Tale scelta comporta però il passaggio dell’intera carriera lavorativa nel sistema di tipo contributivo con un taglio dell’assegno che si aggira attorno al 25-30%.
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