Licenziabili senza possibilità di reintegrazione: le novità del jobs act (entrato in vigore il 7 marzo 2015) si applicano anche al settore pubblico non si limitano al solo settore privato comprendendo dunque anche tutti i docenti assunti col piano straordinario. Questo quanto ha chiarito una recente sentenza della Corte di Cassazione confermando quanto sempre sostenuto da PSN, che nonostante le rassicurazioni del Governo Renzi, metteva in evidenza il rischio cui tutti i lavoratori pubblici avrebbero corso con l'abolizione delle tutele dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. E' infatti con la sentenza n. 24157 del 2015 della Corte di Cassazione, che cadono le rassicurazioni del governo Renzi sulla non applicabilità del jobs act agli statali.
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La vicenda nasce dal licenziamento di un Dirigente da un Consorzio pubblico siciliano,(dichiarato illegittimo in giudizio perché effettuato da un solo componente dell'ufficio disciplinare che invece era organo collegiale), soffermandosi su un'importante questione sollevata dall'ente pubblico ricorrente che chiedeva di pronunciarsi sull'estensione dell'applicabilità del nuovo art. 18 (nella fattispecie modificato dalla legge Fornero) anche agli statali e, in caso di esito negativo, di adire la Corte Costituzionale sulla disparità del trattamento tra lavoro pubblico e privato.
Ma i giudici hanno ritenuto chiaro il tenore dell'art. 51 del Testo Unico del pubblico impiego (Dlgs 165/2001) secondo cui prevede l'applicazione dello Statuto dei lavoratori (legge 300/70), non soltanto al comparto privato, ma anche ai lavoratori del pubblico impiego cosiddetto "contrattualizzato" a prescindere dal numero dei dipendenti. Inoltre scrivono i giudici che «è innegabile che il nuovo testo dell’art.18 della legge n. 300/70, come novellato dall’art. 1 legge n. 92/12, trovi applicazione ratione temporis al licenziamento per cui è processo e ciò a prescindere dalle iniziative normative di armonizzazione previste dalla legge c.d. Fornero».
I giudici di Cassazione in sostanza chiariscono che lo Statuto dei lavoratori, l'art. 18 così così come riformato dalla legge Fornero, deve ritenersi esteso al lavoro del pubblico contrattualizzato, cioè ai dipendenti statali e locali con l'esclusione dei soli dipendenti pubblici non contrattualizzati, e non occorre nessuna norma di armonizzazione affinchè possa operarsi tale estensione. Per dipendenti pubblici non contrattualizzati si intendono quelli citati nell'art. 3 della legge 165/2001 professori, docenti e ricercatori del comparto università, militari e magistrati.
Le implicazioni della decisione, com'è evidente, sono notevoli. Se l'art. 18, come riformato dalla legge Fornero, si estende al pubblico impiego senza se e senza ma, analogamente devono considerarsi estese anche le ultime modifiche apportate dal recente Jobs Act. Va infatti detto che il Jobs Act elimina alla radice l’ultima tutela che anche la legge Fornero non era riuscita a intaccare del tutto: la possibilità di reintegro in caso di licenziamento per motivi economici illegittimi.
Quindi tutti i dipendenti della pubblica amministrazione assunti dal 7 marzo 2015 in poi potranno quindi essere licenziati senza obbligo della reintegra e risarciti nel caso con una indennità.
Sulla vicenda è intervenuto Matteo Renzi che, in una intervista al corriere della sera, ha provato a difendere l'operato del suo governo: “Se sei dipendente pubblico significa che hai vinto un concorso. Non è che se cambia sindaco allora quello ti licenzia” spiegando che il governo ha intenzione, con il decreto legislativo di riordino del lavoro pubblico previsto dalla legge delega sulla pubblica amministrazione, di escludere gli statali dall'applicazione del Jobs Act. Ma che l'abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, valesse anche per i dipendenti pubblici era già stato spiegato dal giuslavorista Pietro Ichino con cui il Premier Renzi si scontrò tentando di smentirlo. Governo che nel dicembre 2014, in fase di approvazione dei primi decreti attuativi della legge delega, aveva garantito per bocca del responsabile economico del Pd Filippo Taddei che “la volontà politica” era quella di non applicarlo al pubblico impiego.
In teoria anche per i quasi 100 mila nuovi insegnanti assunti con la Buona scuola dal 7 marzo 2015 (inclusi quindi tutti i docenti di fase 0, A B e C ndr) che, dopo un periodo di prova di tre anni, dovrebbero valere le regole del contratto a tutele crescenti, anche se i decreti attuativi della riforma Madia volessero metterci una pezza, visto che un intervento del genere sarebbe ad alto rischio di incostituzionalità creando una evidente discriminazione tra lavoratori pubblici e privati.